Privè dicembre 2013

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Ci sono settimane particolarmente effervescenti. Stanno ristrutturando l’alloggio di fianco a Backdoor. Sembra il bombardamento di Dresda. Martello pneumatico, martello manuale, Thor martello di Dio: tutto insieme. Quando suona il telefono usciamo in strada per rispondere, altrimenti non sentiamo. Vibrano i dischi appesi al muro. Sono certo di cogliere un’espressione di terrore negli occhi di John Barry, attaccato alla parete con un suo best americano. Dobbiamo mettere a volume 11 per far capire qualcosa dei vinili che tentiamo di vendere. Non ci sono orari, picchiano e spaccano incessantemente, sempre. Fioccano le battute. La più frequente (e motivata): “Registrateli e fingete di avere un bootleg degli Einsturzende Neubauten”. La faccenda va avanti da circa un mese. In una delle innumerevoli proteste (siamo l’unico negozio di dischi al mondo che si lamenta per il rumore dei vicini) ho realizzato che stano frantumando praticamente tutto. Più che una ristrutturazione è un flagello animato dall’odio. Sono certo che crolleremo con l’intero palazzo. Un sabato poi, e so che sembra finto e banale al tempo stesso, mentre ascoltiamo i Sightings (City of Straw, per l’esattezza) ironizziamo sulla difficoltà di distinguere mazzate edili da rumorismi post industriali. E mentre ridiamo della nostra sicumera, arriva una tronata “superiore”, uno schianto definitivo. Corriamo nel retro e, esattamente sopra la scrivania del Signor Franco, ammiriamo un buco largo come due palloni da calcio e un bel numero di macerie sotto. Ce l’hanno fatta, con un numero degno de I Soliti Ignoti, gli amici muratori hanno sfondato il muro e sono venuti a farci una visita. Brindiamo all’avvenimento con minacce, bestemmie alate e rimozione delle macerie, ma anche con la vendita di City of Straw. Per la cronaca il Signor Franco si trovava altrove, impegnato in competizione bridgistica, quindi risulta incolume. Proseguiamo in allegria, accompagnati dall’artiglieria incessante dei vicini. Pochi giorni dopo entra uno in preda a una febbrile urgenza. “Buonasera, è già uscito quello nuovo degli Stadio?”. Trasalgo, quindi gli Stadio hanno ancora un pubblico. “Non saprei, mi spiace”. “—“. “Noi seguiamo altre cose, etichette indipendenti”. “—“. “Non musica commerciale. Indie rock, elettronica. Anche punk”. “—“. “Importiamo. Musica dall’estero. Importazione”. “Ah. Quindi potrebbe farmi avere quello nuovo degli Stadio d’importazione?”. A breve gli allegri devastatori a fianco ci informano che hanno rilevato una perdita sulla colonna centrale dell’acqua. Dovranno spaccare il nostro muro nel retro. Esattamente dietro a un mobile tassellato e pieno, anzi pienissimo, anzi debordante, di vinili. Verranno domani. Sono le sei di pomeriggio. Smonto tutto, maledico (ottantaseiesima volta nella mia vita) il pesantore dei vinili, accatasto tutto sotto dei teli di plastica e sento che mi viene da piangere. Il giorno dopo è un trionfo di polvere e trapanismo. Noi viviamo nella corrente invernale sotto un telo di plastica. In pratica siamo una copertina dei Christian Death. Da lì sotto emergo per accogliere uno che mi dice “Interessano due zanne d’avorio di quasi due metri? Certificate eh! No roba di contrabbando”. Io lo guardo esterrefatto. Allora mi conforta. “Fanno impressione, sa? Le ho sul divano, due bestie così! Su internet girano a prezzi pazzeschi, ma io posso venirle incontro se le vuole”. Lo guardo. “Mi scusi eh, ma perché mai dovrei essere interessato a due zanne d’avorio, me lo spiega?”. Lui fa girare un dito come a indicare l’ambiente e dice “Ma, immagino che qui girino un sacco di artistoidi, quindi mi sembrava il posto adatto. Comunque magari ripasso, per ora le tengo sul sofà”. Lieto di questa soluzione, ritorno sotto il mio ameno telo impolverato. Le operazioni terminano a fine giornata. Il giorno dopo chiudono il buco e, simpaticamente, non avvertono della riapertura dell’acqua nel condominio. Qualcuno aveva aperto il rubinetto del lavandino del mio bagno (cesso in realtà è più consono all’oggetto in questione), nel frattempo riempitosi di macerie. Così, quando vado nel retro a vedere se abbiamo qualcosa in vinile di Nick Lowe, trovo l’acqua a darmi il benvenuto su buona parte del pavimento. Salvo tutto inzuppandomi fino alle ginocchia, sacrifico una copia di Mojo del 2009 (non avevo più carta e stracci per asciugare) e riesco persino a vendere Labour Of Lust di Nick Lowe. Ma avverto una certa stanchezza. A “finirmi” ci pensa una che entra balzellando. “Dovrei fare un regalo a un mio amico che suona nei Doors”. Alè. “Vuol dire che suona in una cover band dei Doors?”. “No, no, lui è proprio nei Doors”. Alè. Mi risultano quasi tutti morti, ma comunque vado avanti. “E aveva qualcosa di preciso, in mente?”. “Sì, pensavo di regalargli qualcosa dei Doors”. Alè. “Ma un disco insolito, perché chiaramente ha già quasi tutto”. Il ragionamento non fa una grinza. Ci accordiamo per Absolutely Rare, bootleg doppio di registrazioni rare e outtakes. Me l’immagino mentre consegna il mio pacchetto natalizio a Robby Krieger e torno nel retro a pulire. Comincio a essere stremato. Il frastuono demolitorio prosegue incessante. Non so se davvero stiano inscenando una replica della replica del live con buca all’ICA di Londra degli Einsturzende nel 1984 o stiano traghettando l’Abate Faria direttamente verso Auckland, ma comunque insistono. E in tre, dico tre, persone diverse mi hanno telefonato sabato per sapere se avevamo il cartonato di Adriano Celentano (“Volevo regalarlo come appendiabiti a mio marito per Natale” mi ha detto una). Quindi, in chiusura, volevo dirvi che io un libro l’ho già fatto (L’ultimo disco dei Mohicani, 9,90 euro, disponibile qui anche con amena dedica dell’autore, volendo) e quindi sono disponibile ad affrontare una vita serena e persino banale. Silenziosa e noiosa, almeno a tratti. Comunque grazie e buone feste a tutti.

 

Playlist

(cose che mi sono piaciute)

 

Dischi

 

Prefab Sprout Crimson/Red (Kitchenware)

Paddy is back.

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Nick Lowe Quality Street (Proper)

Il mio disco di Natale.

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Jonathan Wilson Fanfare (Bella Union)

Vento di Laurel Canyon, Neil Young e pop 70’s.

Super smooth.

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King Crimson Starless and Bible Black (Island, 1974)

Nessuno come Robert Fripp

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Paul McCartney Unplugged (The Official Bootleg)(Parlophone, 1991)

Macca si diverte e io con lui. E quando attacca And I Love Her senza spina…

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Stefano Pilia Strings (Musica Moderna)

Field recordings. Spiccano i gabbiani nervosi di Coney Island.

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Redroom Dreamers Honduras (Happy/Mopy)

Da Napoli, slowcore ma non solo, con echi di Karate e Bedhead.

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Libri

 

Israel J. Singer i fratelli Ashkenazi (Bollati Boringhieri)

760 pagine. Ascesa e caduta della borghesia ebraica a Lodz.

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Concerti

 

Pilia/Spaccamonti (Blah Blah, 27 novembre)

Ottimi nei set solisti, eccellenti nelle due improvvisazioni corali. Sperimentali e comunicativi:

i due migliori chitarristi italiani.

Qui con Ramon Moro

http://www.youtube.com/watch?v=FuyrcqCM1RQ

 

I Cani (Hiroshima Mon Amour, 29 novembre)

Potenti e divertenti, con la sofferenza dei testi che nessuno sembra voler cogliere. Benissimo il giovanissimo King Krule, meglio ancora Niccolò Contessa. Adorabile quando prima di tuffarsi sul pubblico appoggia gli occhiali sul palco e poi va.

 

Massimo Volume (Hiroshima Mon Amour, 13 dicembre)

Mai così potenti. La seconda sezione di bis è devastante. L’adesione è fuoco.

 

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privè novembre 2013

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Decidiamo di fare la festa di compleanno di nostra figlia piccola in casa. Più tradizionale, più calda. L’invito viene esteso unicamente alle compagne di classe e a due amiche del cuore “esterne”. No maschi, rigorosamente no maschi. Aderiscono tutte. Comincio a guardare i vinili e i cd, che chiaramente sono ovunque, e non sono più così sicuro che sia stata una buona idea. Tento una manovra: “Secondo me, per ricavare più spazio, è meglio se spostiamo i divani ai lati”. Ai lati, chiaramente, ci sono i mobili Ikea con parte della collezione. Mi sento un fine stratega. Il resto della famiglia sorride e acconsente. In sostanza mettiamo delle paratie solide a riparo del piatto e di una parte del classic rock. Molto bene. Recuperiamo le bambine, un totale di diciassette angioletti ben pettinati e ricchi di fiocchetti. Hanno tutte sette anni e sono adorabili. Appena entrano in casa, rivedo il giudizio. Urlano come delle riot grrrl, corrono ovunque, saltano, sudano, slegano i fiocchetti, si spettinano. Palloncini ovunque, pogo sui divani, urlano. Ero sicuro di avere le Au Revoir Simone e invece ho le Bikini Kill. Mi rendo conto che i vinili sono al sicuro e mi rilasso. Le guardo e sorrido. Provengo da una famiglia rigidamente maschile e scopro che quello per noi era il calcio di rigore, per loro è la ruota. O la spaccata. Noi stangavamo verso porte teoriche di cui scorgevamo pali e traverse immaginifici (cretino, quello era palo), loro fanno la ruota sui palmi delle mani o la spaccata (che mi agita sempre, -attenta che ti fai maaaaale-). Comunque tutto funziona. Ma urlano, questo va detto, urlano. Parte un bicchiere di Coca Cola contro il muro (non quello dei vinili, vivaiddio), ma può succedere. Non so se l’ho già detto, ma urlano. Può sembrare incredibile, ma ho preparato una mista anche per questa occasione. Un best of di Zecchino d’oro, cartoni animati assortiti e, ovviamente Winx. Chiedono di alzare il volume e ballano. Un incastro di Heather Parisi e Lydia Lunch, nel senso che tirano la gamba in aria, ma scalciano anche con furore. A un certo punto in due mi chiedono “Hai qualcosa di rock?”. Capite, è un momento topico. “Bambola, di rock ne ho quanto ne vuoi”. So come muovermi, perché ho già sperimentato con mia figlia il concetto di rock. Non bisogna far passi falsi con Buddy Holly o simili, immaginando un approccio filologico. Dritti al punto. Così metto No Fun degli Stooges. E funziona. Saltano e, ma direi che è legittimo in questo caso, urlano ancora. Per me, se nessuno dei genitori mi denuncerà, è un gran bel momento. Finché non vedo una delle invitate seduta per terra, con il broncio. Mi avvicino. “Sveva, qualcosa non va?”. “Non mi diverto”. Tento di rincuorarla con patatine (niente da fare, e dire che erano Fonzies…), Coca Cola (“Chi ti ha detto che ho sete?”) e, alla fine, un invito danzante. Nel senso che le dico “Perché non balli anche tu, non ti piace questa musica?”. “No, perché non è per niente rock”. Calma, parliamone. Così mi siedo di fianco a lei e capisco di essere il titolo di un racconto di Dave Eggers, una cosa tipo “Talkin’ with the little Sveva about the Stooges”. “Sveva, questo è rock, sai che il cantante è soprannominato l’Iguana?”. “L’iguana è una bestia schifosa”. “Infatti, ma proprio per questo è molto rock, senti che chitarre”. “Io non lo so disegnare l’iguana, faccio bene il gattino”. “Meglio, brava”. Vorrei dirle che il gattino è tanto Belle and Sebastian e io non ho nulla contro i felini twee pop, ma mi rendo conto che tutto assomiglierebbe davvero troppo a un esercizio di letteratura creativa. Mi alzo. “Dai Sveva, balla e divertiti”. Lei non mi degna di uno sguardo, ma poco dopo, per lo meno, si mette in fila per la caccia al tesoro. Ho un attimo di terrore: e se si mettono a rovistare tra le copertine, stracciano On The Beach, sradicano a morsi il secondo Soft Machine? Prima che mi agiti, vengono chiariti i limiti del gioco: “Lì non c’è niente, chiaro?”. Lì sono i vinili. Mi rilasso. Poi mi sento toccare una mano. È Sveva. “Lì cos’è?”. “Sono i dischi”. “Non so cosa sono i dischi”. “È dove c’è la musica, esistevano prima dei cd”. “Non so cosa sono i cd”. “Quelli rotondi, nelle scatoline, dove c’è la musica”. Mi interrompe. “Mio papà la musica ce l’ha in una chiave che si infila dentro al computer”. La guardo, “Sveva, vai che stanno facendo le squadre, non vorrai perderti la caccia al tesoro, vai”. E va. Diverse urla dopo, arrivano i genitori a prenderle. È andato tutto bene, mia figlia è felice e ci siamo divertiti. Distribuiamo giubbotti e zainetti. All’improvviso mi becco un calcio sul polpaccio. È Sveva. Mi fa la lingua e dice “L’iguana è un animale brutto”. Poi se ne va per mano con la sua mamma. Io rimango zitto e non so se parlarne direttamente a Iggy Pop, magari mandargli una mail spiegandogli come sono andate le cose. Ci penserò. In sottofondo, intanto, è partito un lento delle Winx e direi che non urla più nessuno.

Playlist

(cose che mi sono piaciute)

 

Dischi

 

Fitness Forever Cosmos (Elefant)

Capolavoro pop. A Rumore di dicembre per i dettagli.

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Rainforest Spiritual Enslavement

Quattro 12” e un mistero dietro. Missionari inghiottiti dalla giungla. Pozze nere di suono. Ambient malarica. Londra tra le liane.

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King Krule 6 Feet Beneath The Moon (XL)

Da Billy Bragg a The Street. Giovanissimo, con voce da orco inglese. E con tocco soul magistrale.

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Lou Reed Transformer (RCA, 1972)

Lo so, è banale. Però mi manca.

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His Clancyness Vicious (Fat Cat)

Se indie ha ancora un senso, qui trova la sua forma più ampia.

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Massimo Volume Lungo i bordi (Tannen)

Su vinile, finalmente.

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Husker Du Candy Apple Grey (Warner, 1986)

Cristo, gli Husker Du.

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Libri

 

Paolo Cognetti Il ragazzo selvatico (Terre di mezzo)

Solo, in una baita. Farò quella fine anch’io, a far sentire i dischi degli Smiths ai camosci.

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Eraldo Pecci Il Toro non può perdere (Rizzoli)

Magari. Un bel libro sulla stagione dello scudetto (’75 ’76), ma anche su Torino e un mondo e un modo di fare calcio che non esistono più. Meglio se siete granata, ma non indispensabile.

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Alessandro Baronciani Raccolta (Bao)

Storie brevi in formato adorabile. Se girate veloci le pagine è il film più bello di questo mese.

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Altro

 

Quando alla fine della prima seria di The Walking Dead ripartono tutti, disperati e silenziosi, con Tomorrow Is A Long Time di Dylan in sottofondo.

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Searching For Sugar Man

Film e storia incredibile. Nessuno a Detroit, un re in Sudafrica. Colonna sonora (low price) splendida.

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Il rovescio di Richard Gasquet

 

ATP Masters Series Monte Carlo - Day Four

 

 

 

 

 

 

Cose che mi fanno venire “i nervi”

 

Quando stai camminando sul marciapiede e dietro (sempre sul marciapiede) uno in bici ti fa suonare il campanello.

 

La gente che non mi conosce e mi chiama “caro”.

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Privè ottobre 2013

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L’episodio risale ancora alle vacanze estive. Sono in macchina con tutta la famiglia, saranno le ventidue circa. Cosa ascoltare è una faccenda delicata. In genere comandano le bambine. Ma non ce la facciamo più a sentire il cd delle Winx. Non male, per carità, ma ormai l’ho messo più di Unknown Pleasures e comincio a manifestare un leggero nervosismo. Le compilation? Il Festivalblat, mio raccoltone estivo ormai entrato di diritto, insieme agli agnolotti di Natale, nella tradizione di famiglia, ha già fatto diversi giri. Ho pronto Personal Record di Eleanor Friedberger, ma perdo l’attimo vincente. “E se mettessimo la radio?”. “Ok, no RTL o simili”. Questo sono io, patisco le radio incatenate all’heavy rotation. Sempre le stesse canzoni, sempre e sempre. E per giunta tre quarti mi fanno schifo. E mi entrano in testa. E hanno dei testi per idioti conclamati. E mi entrano in testa. “Mettiamo la RAI?”. Questo sono di nuovo io. La RAI ha buoni programmi e so che, visto che non ci sono eventi sportivi in corso, il resto della famiglia non temerà trappole. “Ok, metti la RAI”. C’è una voce femminile. Brava, ben impostata, non mi tratta come un cretino. Non sembra fatta di crack mentre dice cose tipo “ragazzi c’è un sole fantastico e scommetto che la Sara è già in spiaggia di brutto”. Mi rilasso, di sicuro non passeranno Pezzali. La conduttrice ci informa che ora toccherà a un artista eclettico, che ha saputo cambiare la propria musica sempre un attimo prima, un innovatore. Uno che ha introdotto l’elettronica nel proprio codice, cercando sempre di anticipare e cogliere i cambiamenti. Che ha inciso sui tempi, sia con i testi che con le sonorità. “Cristo” penso “meno male, adesso ascoltiamo Brian Eno”. Pochi secondi dopo parte Jovanotti. Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti. È lui. Rischio di andare fuori strada, di sfasciare la serranda chiusa di Ortofrutticola da Silvana con il muso della macchina. Divento pazzo. Ma come? Ora, ognuno fa quello che vuole e per chi vuole, ma qui si sta esagerando. Sono settimane che tento di togliermi dal cervello Estate (io avrei voluto assistere alla riunione in cui hanno deciso il titolo) e adesso qui me la spacciano per il frutto di un genio? Stiamo parlando della canzone che fa “sento il mare dentro una conchiglia, estate, l’eternità è un battito di ciglia”? Quella? La stessa che finisce con “ma che caldo ma che caldo ma che caldo fa ma che caldo in questa città”? Dai. E poi anche questa cosa dell’elettronica. Smettiamola. L’elettronica esiste da almeno cinquant’anni e non è che basta mettere due bum bum o un synth alla cieca per diventare moderni. Smettiamola. Innovare è una cosa seria, nelle trame di cotone puro del pop più solare come nelle pieghe aguzze dell’avanguardia. Bisogna sapere e volerlo fare. Non è che vale sempre tutto. Così m’incazzo e spengo la radio. Perché sono certo che passeranno pure Pezzali. Inveisco, vorrei sputare, ma ho paura che mia figlia piccola lo scriva magari in un tema. Descrivi le tue vacanze: “Io e la mia famiglia siamo andati al mare. È stato molto bello. Mia mamma ci pettinava come bambole e mio papà sputava addosso alla radio”. Arrivati a casa li costringo a sentire Caldo dei Diaframma e Azzurro di Paolo Conte. Spiego la grandezza dei due brani, l’abbandono afoso della prima, la genialità popolare della seconda. Le fabbriche chiuse, il baobab. Sento che un po’ mi compatiscono. La verità è che a loro piace Jovanotti. Davvero. Si contengono, perché hanno paura che le denunci, ma lo apprezzano sinceramente. E allora vado a prendere gli Haxan Cloak, sento il bisogno di una cosa scurissima e buia, difficile e che posso capire solo io. Un antidoto. E mi domando come sia possibile che sempre e comunque il mondo abbia un bisogno urgente e insanabile di Jovanotti. A tutti i livelli. Anche ai concerti delle band italiane indie più compromesse. Di quella forma di simpatia. Che possa immaginare di metter piede in una grande chiesa che passa da Che Guevara a Madre Teresa di Calcutta. Che creda davvero che Che Guevara e Madre Teresa di Calcutta siano orizzontali, assimilabili. Ma per chi ci prende questa gente? Davvero ritengono che si possano rivalutare le canzoni degli 883? Gandhi, San Patrignano, tutti con in mano birra e camogli noi senza fidanzate troie né mogli noi? Mi dispiace, ma non è tutto uguale. Rivendico la necessità delle differenze, dei solchi invalicabili. Del mancato evvabbè concesso per una briciola di successo ottenuto di riflesso o per pietà. Del rifiuto dell’allegria conquistata al sottocosto Lidl, quella che un giorno, mentre ci ricordiamo vagamente degli Husker Du e del fatto che la rivoluzione comincia ogni giorno, davanti allo specchio, ci coglie impreparati e con un sorriso da gibbone. Proprio davanti a quello specchio. E allora, piuttosto, Penso Negativo.

Maurizio Blatto

Playlist

(cose che mi sono piaciute)

 

 

Dischi

 

Moin Ep (Blackest Ever Black)

I Raime che si fanno Slint. Tremate, il post rock sta tornando.

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AA VV Scared To Get Happy (a story of indie-pop 1980-1989) (Cherry Red)

Il box definitivo dell’indie rock inglese. La Bibbia del me ne sto in casa con i miei dischi e che bello fuori piove. Unico difetto: il sistema, diabolico, con cui sono stati sistemati i 5 cd. Una specie di argano in plastica che, ovviamente, ho già spaccato.

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Death In June But, What Ends When The Symbols Shatter? (NER, 1992)

A distanza di anni, un disco impressionante.

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I Camillas Costa Brava (Wallace +)

Geniali e commoventi. Giovane donna sono i Velvet e La canzone del mare è Battisti. Serve altro?

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David Kilgour Frozen Orange (Merge, 2004)

Disco dimenticato del leader dei Clean, registrato con membri dei Lambchop. Dunedin & Nashville. Basterebbe da sola Gold In Sound, delizia pop assoluta.

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Saluti da Saturno Dancing Polonia (Goodfellas)

Visto anche dal vivo, è quasi fiabesco. Cantautorato fiabesco.

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Eleanor Friedberger Echo Or Encore (Merge)

Il disco (Personal Record)  vale nel suo intero, ma questa è una delle canzoni dell’anno. E allora, Eleanor Put Your Boots On.

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I Cani Glamour (42 records).

Un grandissimo, lui. Pop e sguardo interno doloroso.

Roma città, è aperta.

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Libri

 

Emmanuel Carrère Vite che non sono la mia (Einaudi)

Dopo Limonov, un’ossessione. Uno dei più bei libri mai scritti sulla morte.

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Emmanuel Carrère L’avversario (Adelphi)

Come dice l’Autore: “Ho pensato che scrivere questa storia non poteva essere altro che un crimine o una preghiera”.

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Auslander Shalom Il lamento del prepuzio (Guanda)

L’umorismo ebraico è un’arte superiore.

A Dio, ci penso io, parola di Shalom.

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Marcello Marchesi Il Dottor Divago (Bompiani)

Un genio. Ci sono più intuizioni qui dentro che nell’Italia degli ultimi vent’anni.

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Marco Lazzarotto Il ministero della bellezza (Indiana)

Sorriso che si fa storto mentre ti accorgi che è quasi vero. Molto possibile. Tragicamente probabile. Un Orwell sabaudo.

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Altro

 

Anghiari (AR)

Luogo incantevole con una vita culturale straordinaria. Dalla Libera Università dell’Autobiografia a Sei Pezzi Facili.

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Radiazioni Cult

Ogni venerdì dalle 22,00 sulle frequenze di radio Ciccio Riccio.

www.ciccioriccio.it

Live, interviste e programmazione eccellente.

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Quando a Django gli giran le palle e fa una strage in Django Unchained di Tarantino.

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Mea culpa (cose che ho sbagliato)

 

Baustelle Fantasma (Warner). Non capito o quasi snobbato appena uscito, mi è esploso in ritardo. Un disco, soprattutto, di grandissime canzoni.

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Cosmo Disordine (42 records). Gli ho dato 7 su Rumore, ma mezzo voto in più, almeno, lo meritava. Soprattutto dopo averlo visto dal vivo, con le ballerine e la versione acustica di Esistere.

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Privè manifesto

Postato il

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fotografia di Davide De Martis

FuoriLuogo festival San Damiano d’Asti, giugno 2013

davidedemartis.tumblr.com

 

Rumore è il nuovo Rumore

e ha un sito

http://rumoremag.com

ma è soprattutto una rivista di carta.

E le cose che si toccano sono quasi sempre le più belle.

Quindi, ehm, compratelo.

Ma, nel suo vestito nuovo ha perso i Privè.

In forma ancora più autoreferenziale e slegata

(è un Privè, no?), il mio ritorna qui.