futebol

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sezione Amarcord

Mi è tornato in mano questo libro dopo molto tempo: è una delle cose più divertenti mai scritte sul calcio.

Intervistai l’autore per Il Mucchio Selvaggio (collaborai  con loro per poco tempo – e gratis…- alla sezione “libraria”)

era il 2004

ALEX BELLOS

Futebol parlado

Di Maurizio Blatto

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Dagli spalti si leva un coro “Alex! Alex! Alex!”. Tranquilli, non si tessono qui le lodi di Pinturicchio-Del Piero. L’invocazione da curva, piuttosto, è tutta per Alex Bellos, autore di Futebol (edito dalla Baldini Castoldi Dalai): uno dei migliori libri mai scritti sul calcio nonché un’acutissima panoramica sociale sulla nazione carioca. Il Brasile è quel Paese dove la filosofia la fa veramente Socrates a colpi di tacco e dove la sconfitta con l’Uruguay ai Mondiali del 1950 (giocata al Maracanà) viene ancora definita “la nostra Hiroshima”. E Bellos ne è stato, con il suo libro, un cantore superbo. Non potevamo non intervistarlo. Quindi, eccoci. Palla al centro, via.

Com’è nato il libro? Hai sempre vissuto in Brasile?

Sono arrivato in Brasile nel 1998. All’epoca ero stufo del mio lavoro come reporter, speso negli uffici londinesi del Guardian. Non ero mai stato in Brasile prima, ma era un Paese che mi aveva sempre incuriosito e così ho lasciato il mio impiego e sono volato là. Ho iniziato scrivendo articoli come freelance e nel giro di sei mesi sono diventato corrispondente del Guardian per il Brasile. Così, mentre l’idea originaria era di fermarmi un anno, alla fine ci sono stato per cinque. Nel 2000, la Bloomsbury mi ha proposto di scrivere un libro sul calcio. Essendomi sempre occupato di cronaca e approfondimenti ho declinato l’offerta, suggerendo che l’incarico venisse affidato a un vero giornalista sportivo. Subito dopo, però, ho pensato che proprio perché non ero un giornalista sportivo, avrei potuto scrivere un libro interessante. Ho sempre amato il calcio, ma non avevo intenzione di scrivere un libro “di genere”. Ciò che mi interessava era evidenziare come il calcio influenzi la vita culturale e come la cultura si rifletta nel pallone. Pensavo di avere la distanza necessaria per farlo, esattamente perché non avevo mai scritto di sport prima. Così ho firmato il contratto nel Luglio del 2000 e a Maggio 2002 il libro era pronto.

Futebol si apre con la saga dei giocatori brasiliani impiegati nel campionato delle isole Faroe. Marcelo Marcolino e gli altri “esiliati” carioca si dividono tra mercati del pesce, ghiacciate mortali e persino ruoli da panchinari. Ma, alla fine, questa è una storia triste o semplicemente bizzarra?

Non so se sia triste o divertente e non voglio risolvere la questione. Da un certo punto di vista questi brasiliani sono depressi e tristi perchè isolati e incastrati nel freddo, ma è anche vero che, per quanto strano possa sembrare, stanno vivendo i loro sogni. Ho voluto far iniziare il libro dalle Isole Faroe perché ci tenevo a dimostrare quanto potesse essere internazionale la “marca” del football brasiliano, ma anche per cambiare gli stereotipi che avvolgono quella “marca” stessa. In Brasile è molto facile sapere dove finiscono i giocatori, perché sono tutti registrati alla CBF, la Confederecao Brasileira de Futebol, e perché il Placar, una rivista specializzata, pubblica ogni settimana un articolo su un brasiliano che gioca in qualche angolo remoto. Ho scelto le Isole Faroe perché hanno la reputazione di aver le squadre più deboli d’Europa, sono freddissime e anche perché quasi nessuno sa dove siano realmente.

Il calcio, per i brasiliani, assume ancora il vecchio valore del “panem et circenses”? Ha un ruolo nel mantenimento della quiete sociale?

Il calcio fornisce ai brasiliani un senso di comunanza fortissimo, esattamente come il carnevale e la religione. Non so, fra i tre, quale sia il più importante. I brasiliani sono sempre stati meno bellicosi e più accomodanti di tutti i loro cugini sudamericani. Non hanno avuto una guerra d’indipendenza sanguinosa e anche i loro dittatori si sono dimostrati meno violenti rispetto a quelli cileni o argentini. In qualche modo si può sostenere che il calcio abbia aiutato a cambiare radicalmente la nazione. Persino durante la dittatura era concesso esporre striscioni a favore della democrazia negli stadi.

Uno dei punti di forza del tuo libro è la straordinaria galleria di personaggi al limite dell’incredibile. Chi, tra Mauro Shampoo, calciatore, parrucchiere e maschio, il fan club gay del Vila Nova e Padre Santana, guru nero del Vasco da Gama (per tacer degli altri) ti ha sorpreso di più?

Devo dire che scoprire che Aldyr Garcia Schlee, l’uomo che disegnò le magliette della nazionale brasiliana, sia tutt’oggi un tifoso dell’Uruguay, mi ha veramente lasciato di stucco. Non ci si può davvero credere.

Un altro paragrafo memorabile è quello dedicato al Peladao della foresta pluviale, la Grande Partitella, dove al termine di un’infinita serie di eliminatorie si arriva alla Finale, giocata secondo regole amatoriali e affiancata (e in qualche modo, determinata) dalla gara di bellezza delle reginette delle squadre coinvolte nel torneo. E’ questa la miglior metafora di tutto il calcio brasiliano, dove tutti sono coinvolti, uomini e donne, e secondo regole proprie?

Non sono sicuro che la Grande Partitella sia una vera metafora. Piuttosto la riterrei un microcosmo all’interno del Brasile stesso, un concentrato di “brasilità”: amore per il calcio, per le donne, per la burocrazia e per le feste. Penso che Manaus, la capitale della foresta pluviale, esalti ed esasperi le caratteristiche brasiliane, perché è molto isolata e anche dannatamente calda. Tutto è a un punto di bollitura. L’intera faccenda del concorso di bellezza femminile legato al torneo è fantastica perché, senza vergogna alcuna, è assolutamente “politically incorrect”. Alla fine, chi se ne frega, diciamocelo: una competizione di bellezza femminile è molto più eccitante di qualsiasi partita di calcio femminile…

Che cos’è che rende il calcio brasiliano così differente dagli altri e, soprattutto, è davvero il più bello del mondo?

Il calcio, ormai, è così “internazionalizzato” che anche in Italia i brasiliani giocano come gli italiani. Thierry Henry è molto più brasiliano di Elber o Emerson! Quindi, quando li guardi da vicino, non sei più così sicuro che i brasiliani giochino in un modo tutto loro. Ma ciò che è certo è che noi ci aspettiamo che lo facciano e pensiamo che pratichino un calcio differente anche quando, in realtà, non lo fanno affatto. Alla fine, ciò che rende i brasiliani davvero unici è tutta l’esagerazione romantica che gli mettiamo noi sopra. Ma, d’altro canto, il popolo brasiliano è realmente unico. Quando guardi una donna, o anche un uomo, passeggiare lungo Copacabana, cammina “come un brasiliano”. Muove i fianchi in un modo inimitabile, molto più elegante e ritmico di quello di qualsiasi europeo. Ecco, qualcosa di quell’ondeggiare lo puoi trovare nella corsa e nei dribbling di molti giocatori brasiliani. Solo un brasiliano può correre come Ronaldinho, ed è una cosa splendida (ma è anche vero che Emerson non corre come Ronaldinho…).

Sei diventato tifoso di qualche squadra brasiliana in particolare?

Non ho una squadra del cuore. Mi piacciono il Botafogo, il Corinthians e la Fluminense, ma ho mantenuto un approccio da turista e non da tifoso. Comunque detesto il Flamengo e il Vasco da Gama.

E in Inghilterra?

Sono cresciuto in Scozia, ed ero tifoso dell’Heart of Midlothian, la squadra di Edimburgo (e di Pasquale Bruno, ah! ndtg-nota del traduttore granata). Ora che vivo a Londra, la mia squadra è il QPR, i Queens Park Rangers.

Hai in programma un altro libro calcistico?

Non ho alcun progetto al riguardo, ma continuo a scrivere articoli. La maggior parte può esser letta sul mio sito www.futebolthebrazilianwayoflife.com o su www.alexbellos.com. Lì ci sono anche foto che non ho messo nel libro e articoli e interviste di altri giornalisti sul calcio brasiliano.

Segui il calcio italiano? Hai una squadra “di riferimento”?

Non sono tifoso di nessuna squadra italiana in particolare. Seguo quelle dove militano alcuni dei miei giocatori preferiti e mi piace quando i brasiliani si mettono in mostra, come Kakà nel Milan.

La tua passione per il Brasile si estende anche alla musica?

Amo la musica brasiliana. Ho contribuito alla selezione dei brani di un cd di musica brasiliana legata al mondo del calcio. Si chiama Mùsica de Futebol, è edito dalla Mr.Bongo e raccoglie tutti i grandi della musica carioca: Caetano Veloso, Chico Barque, Jorge Ben, Elis Regina e persino Pelè, che canta una sua canzone. L’idea era quella di raccontare la storia della musica brasiliana attraverso il calcio, visto che tutti i grandi della musica brasiliana hanno scritto di football. Ascolto anche un sacco di musica brasiliana moderna, le compilation Favela Chic sono grandi e anche il nuovo lavoro di Marcelo D2 è eccellente.

Scegli un uomo o un’immagine per rappresentare il Brasile intero.

Senza ombra di dubbio, Cotonete. L’uomo sdentato con la pettinatura folle che fa il tifoso di professione, “lavora” nelle strade di San Paolo e vive per i Campionati del Mondo. Lui è totalmente Braziiiiiiiil!