Caro Moz, ti scrivo

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Nel giorno in cui Morrissey suona a Milano e a me tocca stare da solo in negozio dopo aver dato la mia benedizione Moz et Orbi a un gruppo di eroi locali partiti alla volta dei suoi gorgheggi, pubblichiamo l’ennesimo e valoroso contributo de Il Direttore (che non sono io, mi tocca dire una volta di più, non per prenderne le distanze, ma perché i meriti vadano alle firme giuste).

Stasera Moz farà Asleep e magari io avrò finito da poco di rispondere a uno che mi chiede se abbiamo dei bootleg dei Dream Theater.

Crudele è la vita.

Nel frattempo, la parola a Il Direttore:

Lettera a Mr. Malcontent – Una (non) recensione di World Peace Is None Of Your Business

Caro Moz, buffo apostrofarti in chiave epistolare. Una forma di comunicazione sempre da te apprezzata e coltivata, sia con i tuoi idoli sia (soprattutto) con i tuoi bersagli prediletti. Oramai ogni tua iniziativa o uscita pubblica è congedata da recensori e stampa come oggetto da cronaca scandalistica. Ulcere, raffreddori, canzoni e concerti (per lo più annullati, ultimamente). Tutti nello stesso tritacarne mediatico. La M di Morrissey in rigido ordine alfabetico fra Linsdey Lohan e Britney Spears. Certo, tu non hai fatto molto per evitare di diventare una fotografia da rotocalco. Sembra quasi che ti diverta a trasformare il tuo romanzo d’appendice in una storia a puntate buona per il Sun e le letture da salone di bellezza. Quasi che tu sia convinto che basti la tua diversa appartenenza letteraria, la tua peculiare attenzione per le figure metaforiche, per offrirti al Dio Gossip, sapendo di poterne uscire elegantemente quando vuoi. Credimi caro Moz, il mondo ha dimenticato da qualche tempo il significato della preservazione dell’Eroe. E’ sempre più difficile marcare le distanze, e quando ti offri al bagno sociale, ne diventi immediatamente parte. D’altro canto tu hai sempre diviso, e lo sai. Chi ti avrebbe regalato il diario segreto e avvolto in un Union Jack fradicia di lacrime, all’ombra monumentale della Battersea Power Station. Chi invece ti ha sempre dismesso come un re monco, uno che aveva bisogno comunque sempre di qualcuno che traducesse in musica le proprie invettive e poesie. Le cime tempestose di Stephen Street, la carezza glam di Mick Ronson (Dio lo abbia sempre in gloria) e poi la gang fedele di Whyte e Boorer, prima che finissi di litigare pure col primo. Sempre sulla graticola, dove credo che alla fine ti piaccia un po’ piazzarti, nonostante tu abbia sempre dichiarato il tuo aristocratico disinteresse per le cose del mondo. Alla fine, che si parli bene o male, l’importante è che se ne parli. Eppure il Salford Lads Club, a Manchester è diventata una bella attrazione per gli amanti 2.0 del vintage vittoriano e Johnny, quell’ingenuo indifeso Johnny che a te piace sempre immaginare, fa dischi a suo nome e canta le canzoni degli Smiths per suo conto. Tu oramai guardi con affetto i tuo accorati fan chicanos e guidi la decapottabile sulla Highway 1. La madre patria e i Teddy Boys sono un ricordo lontano. Hai giocato a freccette a sufficienza con i bersagli di Mike Joyce e il giudice Weeks nella tua autobiografia e, nonostante l’insistenza sugli argomenti sia una delle tue manie predilette, converrai con me che sia plausibile che il mondo sfili via tranquillo senza curarsi troppo delle tue inquietudini di mezza età. Ma veniamo al tuo nuovo disco. Tu ti senti un (non troppo) giovane Werther continuamente alle prese con gli stessi dolori, ma chi ti accusa di essere piuttosto una cicala in andropausa avrà di che divertirsi, fra proclami contro la guerra, sermoni sui mali dell’umanità e crociate contro divoratori di carne rossa e affini. Il mondo salvato da parole necessarie, sempre che si sia un mondo la fuori a volersi far salvare. La tavola è ben apparecchiata per armare i detrattori. Eppure, caro Moz, ti confesso che questo capitolo del tuo diario mi lascia ben sperare, dopo il passo falso di Years Of Refusal, primo disco veramente inutile della tua carriera. Passo oltre la tua solita cura per la forma, dalla copertina fino alla scelta dei caratteri dei titoli stampati. Tutta materia da feticisti del dettaglio, quali tu stesso negli anni ci hai educato ad essere, consci che sia inutile cercare condivisione su certi temi complessi come l’importanza della forma, nei pochi caratteri di un cinguettio, in quest’epoca di didascalie obbligate. Probabilmente, anche tu dovresti fartene una ragione. In realtà, qui sono i tuoi azzardi a conquistarmi e incuriosirmi. Dall’Hollywood Drama, con tanto di uccellini e archi malinconici di I’m Not a Man, pronta per prosceni da Vaudeville alle chitarre flamenche che fanno tanto nobiltà di Kiss Me Alot, scioglilingua elegante, fra “sentimiento que se baila” e confidenzialità barocca. E c’è pure spazio per alcuni degli inediti mai cosi a fuoco, per chi si vuole spingere fino all’edizione estesa dell’album. Salford è proprio lontana e ora che la tua amata Inghilterra è oramai diventata un numero alla fine di un bilancio finanziario trimestrale, poco importa. C’è un nuovo mondo che ti attende, libero da vincoli di appartenenza. E allora, caro Moz, se posso, ti consiglio di darti senza remore. Laddove Hollywood ti pavimenta un lungo dorato viale del tramonto, getta le tue braccia e dimentica Parigi e Coronation Street. Se sei la rockstar vivente più famosa del mondo è ora di dimostrarlo, facendo orecchie da mercante a chi dubita o vive di poster sul letto della cameretta. Più Elvis e meno Wilde, più Las Vegas e meno Mercury Prize, se posso azzardare. Prendi al volo quel tram chiamato desiderio e rimetti le armi che tieni affilate, per provare a combattere quella modernità che tanto t’ignora comunque. Conquistali con la tua verve, che il tuo vocalizzo malinconico rivaleggi con Barbra Streisand piuttosto che con Damon Albarn o Jarvis Cocker. Death of A Disco Dancer e i titoli di coda di una stagione che scorrono sul tuo sillabare con orgoglio Oboe Concerto, come ti avrebbe insegnato Pasolini. Eresia per gli irriducibili del ricordo a tutti i costi, luccichio del tuo nuovo vestito da crooner lunare. Non aver paura della passerella e affrontala con la tua consueta eleganza. Saremo lì ad applaudirti nonostante i “se” e fregandocene dei “ma”. Con deferenza ti saluto e ti auguro di tenerti in Buona Salute e di dare meno retta alle cassandre. Il mondo ha ancora bisogno di Dive che non abbiano paura di esserlo.

 (Il Direttore)

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