Long May You Run, Ilunga

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È morto a Kinshasa, all’età di 66 anni, l’ex calciatore Ilunga Mwepu.

Lo celebriamo pubblicando un mio articolo scritto (credo) quindici anni fa per la gloriosa fanzine Football Mad.

Long May You Run, Ilunga.

la figurina di mwepu

 

Nostalgia leoparda: Ilunga e lo Zaire del 1974

di Maurizio Blatto

 “Comunque, vedrai, appena il calcio africano acquisirà un po’di professionalità, quelli non ci fanno veder più palla”. “E poi, che atleti! Fisicamente sono superiori a tutti, un po’di esperienza e tecnica in più e ti saluto, caro il mio calcio europeo”. Anni e anni di profezie simili e poi finalmente sono arrivati Weah, Kanu, Finidi e soci a corroborare tesi che iniziavano a sembrare troppo esili. Prima, soltanto qualche caso sporadico. Il Camerun dello statuario Milla e lo Zambia che ficca quattro castagne all’Italia delle Olimpiadi del 1988. Ma prima, prima ancora, chi ha fatto la storia del calcio africano? La risposta non può che essere una e una sola: suo malgrado, lo Zaire del 1974. I Leopards dello Zaire sono entrati nella leggenda del calcio grazie ad un paio di batoste feroci, ma soprattutto in virtù di gesto geniale, sorprendente e “definitivo”. Calma, andiamo per gradi. Mondiali del 1974, Germania. Il grande show di Cruyff, Beckenbauer, Rivelino e del capocannoniere polacco Lato. Il Mondiale di Chinaglia che, leggiadro, indica a Valcareggi le modalità per andarselo a prendere nel culo, simbolo deragliante di un Italia eliminata subito e capace di vincere unicamente con la nazionale di Haiti, dopo essere andata sotto per un gol di Emanuel Sanon, cannoniere e simbolo insieme al portiere acrobata Henry Francillon della nazionale dalla casacca rossa. Il Mondiale di Jurgen Sparwasser che, il 22 di Giugno, segna e assegna il “derby del Muro” (così venne  definito all’epoca, un’epoca dove nessuna Trabant aveva ancora capottato nell’Occidente) alla Germania dell’Est e se la ghigna alla faccia dei futuri campioni, prima di tornare a casa per colpa di Neeskens, Rensenbrink e Rivelino nel primo girone di semifinale. E’proprio nel 2° gruppo di quel Mondiale, che vengono inseriti i Leopards, casacche verde prato, tre righe gialle Adidas, stemmone con il leopardo sul torace ed orgoglio dello Zaire tutto. Campi da gioco: Francoforte e Gelsenkirchen. Rivali: Jugoslavia (ah, i perfidi slavi, sempre temibili…), Scozia (l’unica squadra a non aver mai perso una partita durante le qualificazioni a Germania‘74!) e i campioni in carica del Brasile (u Brasil, Rivelino, futebol bailado, samba, Dirceu…). Girone bello difficilotto per i leopardi, ma chissà, potrebbero anche essere una rivelazione, non si può dire. Ricordiamo che quelli erano anni in cui il calcio non dominava la televisione e ben poco si vedeva oltre gli spalti italici. Tutto può essere. Ovviamente non fu. Lo Zaire risultò tanto “naif”, sprovveduto e debole da suscitare una simpatia immediata e sempiterna. Una vera armata Brancaleone al cospetto del calcio europeo e sudamericano, un’accolita di improvvisatori che, peraltro, rappresentava realmente il meglio del calcio africano all’epoca. Sempre nel 1974, in Egitto, fu infatti proprio lo Zaire ad aggiudicarsi la Coppa d’Africa (girone eliminatorio alle spalle del Congo e sopra Guinea e Mauritius, semifinale vinta per 3 a 2 sui padroni di casa dell’Egitto e finale vinta nella partita di ripetizione per 2 a 0 sullo Zambia, dopo l’1-1 e il 2-2 ai tempi supplementari della gara giocata il giorno prima). Inoltre l’anno precedente, la formazione zairese dell’A.S. Vita si era aggiudicata la Coppa dei Campioni d’Africa, subentrando ai successi del 1967 e 1968 del TP Englebert. Il presidente (imperator-simil dittatore) Mobutu Sese Soko aveva ripulito la capitale Kinshasa dalla criminalità con una maxi retata conclusasi con un’esecuzione di massa nei sotterranei dello stadio e, in ottobre, avrebbe cercato lustro ospitando il leggendario incontro di boxe tra Mohammed Alì e George Foreman, con imperdibile corredo di James Browm, Miriam Makeba e Spinners. I presupposti c’erano. Lo Zaire, nelle qualificazioni africane ai mondiali, fece fuori, nell’ordine: Togo, Camerun, Ghana, Zambia ed infine Marocco. Sì, i presupposti c’erano. Poi si giocò e ci si accorse che quello che mancava era la squadra. Un disastro. Si partì il 14 giugno alle 19,30: Westfalenstadion di Dortmund, Scozia e Zaire di fronte a ventisettemila spettatori. I Leopards schierano Kazadi, Mwepu (ricordate questo nome), Mukombo, Buhanga, Lobilo, Kilasu, Mayanga, Mana, N’daye, Kidumu e Kakoko. Formazione di tutto rispetto, come avrete intuito dai nomi, ma non sufficiente ad arginare gli scozzesi, che non spingono al massimo ma insaccano due pere, al 26° con Lorimer e al 33° con Jordan, entrambi in forza al Leeds United. La tv italiana non manda nemmeno la partita in diretta, si accontenta di una misera sintesi alle due di pomeriggio del giorno dopo. Ehi, cazzo facciamo, snobbiamo i leopardi? Comunque, poco male, non è stata una vera Waterloo, vediamo cosa succede con la Jugoslavia. Eh, vediamo dai. 18 Giugno, Gelsenkirchen, Parkstadion, ore 19, trentunmila spettatori (per mamma Rai ancora sintesi il giorno dopo). Lo Zaire schiera la stessa formazione dell’esordio con la sola variante di Kembo al posto di Mayanga. D’altro canto, squadra che ne prende solo due, non si cambia. Il dramma è che i leopardi ne buscano nove. Nooove a zero!! Una mazzata bestiale. Ecco i marcatori: Bajevic (8°, 30°, 81°), Dzajic (14°), Surjak (18°), Katalinski (28°), Bogicevic (38°), Oblak (51°) e Petkovic (65°). La squadra è allo sbando e ad un certo punto pare persino che la Jugoslavia (anche gli slavi non son poi così perfidi…) decida di non infierire troppo. Un gesto (non ancora quello) sintetizza l’intero incontro: al ventunesimo, il portiere Kazadi, tra le lacrime, chiede di essere sostituito. Più tardi affermerà che mai, nella vita, si era sentito così umiliato. Aggiungiamoci l’espulsione di N’daye e avremo il quadro di una squadra fatta a pezzi, letteralmente schiantata. Sberla dura, anche perché ora tocca al Brasile, nientemeno che ai campioni del mondo. Facendo le dovute proporzioni si teme un risultato stile cappotto d’Astrakan, qualcosa tipo ventisette a zero o giù di lì. I Leopards, giustamente, si cagano un po’ nella tuta, ma fieri, si presentano comunque puntuali all’appuntamento con la storia. Che è fissato alle 16 del 22 Giugno, ancora al Parkstadion di Gelsenkirchen (per la cronaca, manco i detentori del titolo convincono la Rai a mandare l’incontro in diretta) di fronte a trentaseimila spettatori. Lo Zaire persuade Kazadi a tornare tra i pali e cambia qualche elemento: dentro i nuovi Kibonge, Tshinabu, N’Tumba e vediamo un po’ cosa succede. Succede che il Brasile ne infila tre (Jairzinho 13°, Rivelino 67°, Valdomiro 78°), il che, date le previsioni, è un mezzo trionfo. Troppa la disparità. Nonostante quello non fosse un Brasile irresistibile schierava comunque Leao, Nelinho, Luis Pereira, M.Marinho, F.Marinho, Piazza, Rivelino, Jairzinho, Leivinha, Cesar Carpegiani e Edu, collocandosi, rispetto agli africani, letteralmente su un altro pianeta. Non è comunque nelle tre legnate brasileire che si deve cercare il diamante dell’incontro. Il picco, il gesto geniale (ecco, ci siamo) si colloca tra i nove metri circa che separano Rivelino, posizionato davanti al pallone, e la barriera leoparda schierata qualche metro davanti alla linea dell’area di rigore. Come d’abitudine su ogni punizione, Rivelino prende una lunga rincorsa mentre l’arbitro rumeno Rainea, novello mossiere del Palio di Siena, suda sette casacche per tenere a bada gli scalpitanti leopardi. Stop. Fermo-immagine sul numero due dello Zaire, il volenteroso Ilunga Mwepu (sì, di nome faceva proprio Ilunga, come quando cercate di spiegare a vostra bisnonna con che lettera inizia Juventus) che tarantoleggia in barriera. All’improvviso Rainea fischia e lui, come i geni e gli eroi, i fulminati o i Masaniello che han fatto la storia, appalta la mente e la ragione e si affida al cuore e all’intuito. Vede Rivelino che esita e forse pensa “cazzo fai Rivelino, tentenni, cazzo fai, non tiri? Ah no, beh allora tiro io”. E va. Lui va e corre con falcate imperiose, a metà tra Olivia, la fidanzata di Braccio di Ferro ed Emil Zatopek. Va nel silenzio improvviso, sgambazza davanti a settantaduemila sguardi attoniti di spettatori che lo vedono e pensano “ma cos’hai nella testa Ilunga, l’acqua dei pesci?”. Lui è andato, troppo tardi, ormai è a un passo. Eccolo che arriva e pianta una stanga che nemmeno Ercole e Maciste e Antonio Hinoki e Piedone lo Sbirro messi insieme. Papapum e la palla viaggia verso la porta di Leao. Stop. Il tempo riprende il suo corso naturale, ed è il panico. Rainea, indignato, fischia, chiama Mwepu e lo ammonisce. Jairzinho con una testa afro che al confronto Bob Marley sembra uno appena arrivato al C.A.R. non riesce a trattenere lacrime di riso, va vicino al numero due leopardico e agitando una mano sotto gli occhi, come quando si allontanano le mosche probabilmente gli dice “Uei, Ilunga, ma tu sei completamente andato”. Mwepu intanto, stranito dal giallo di Rainea, letteralmente si inchina e ammicca tipo “va bè, allora ammoniscimi dai, hai ragione tu, dai”. Morale, quest’uomo selezionato tra sedici milioni di abitanti e duemila tesserati zairesi si è presentato ai Mondiali senza nemmeno conoscere le regole basi del calcio giocato. Tipo: se stai fermo novanta minuti sulla linea di porta del portiere avversario facilmente finirai in fuori gioco e se hai una punizione contro non valgono le regole di “fazzoletto” per cui appena fischiano chi arriva primo vince. Meglio così, la stecca diabolica di Ilunga ha consegnato lo Zaire al mito, elevandolo in qualche modo dal mesto ultimo posto al girone (per la cronaca, la Scozia verrà eliminata per differenza reti, pagando oltremodo una certa clemenza riservata ai Leopards) concluso a zero punti e con meno quattordici di differenza reti. Anni luce dopo il black-out dei neuroni di Mwepu verranno le vittorie olimpiche di Nigeria e Camerun, ma il nostro più nostalgico pensiero va all’estroso Ilunga, probabilmente rispedito in qualche cortile, a ripassare i fondamentali dell’arte pedatoria. Se giochi ancora, come meriti, tieni duro e sui corner attento a non fare il terzo tempo, che quello, è il basket.

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