Archivio delle categorie: Indoor
the “alè che è ora” weekend
Postato il
The alè che è ora weekend:
(vi aspetto!)
venerdì 30 maggio, Ivrea, ore 23,00
Festival La grande invasione
Sala Santa Marta
Reading da MyTunes con musiche di Giorgio Pilon/Selfimperfectionist
sabato 31 maggio, Ivrea, ore 23,00
Festival La grande invasione
Liberia Cossavella, Ivrea
Reading da MyTunes con sonorizzazione a cura di Andrea Pomini
domenica 1 giugno, Cremona, ore 10,30
Festival Le corde dell’anima
Museo del Violino
Conversazione con Paolo Gualandris e Reading da MyTunes con sonorizzazione a cura di Andrea Pomini
domenica 1 giugno, Ivrea, ore 23,30
Festival La grande invasione
Sala Santa Marta
Reading da MyTunes con sonorizzazione a cura di Andrea Pomini
lunedì 2 giugno, Ivrea, ore 23,30
Festival La grande invasione
Sala Santa Marta
Reading da MyTunes con musiche di Giorgio Pilon/Selfimperfectionist
A seguire festa di chiusura del Festival e dj set a cura di Selfimperfectionist
MyTunes on tour
Prossime date:
giovedì 5 giugno
Festival cinema corto in Bra (CN)
Dalle ore 18,00 la recensione: forma breve letteraria
e a seguire reading da MyTunes con sonorizzazione a cura di Andrea Pomini
venerdì 13 giugno
Circolo dei Lettori, Via Bogino 9,Torino
Ore 21,00 MyTunes: presentazione di Carlo Bordone
e reading con sonorizzazione a cura di Andrea Pomini
venerdì 20 giugno
Spazio 211, Festival Rumore
mercoledì 2 luglio
ore 21,00 Libreria Trebisonda Via Sant’Anselmo 22, Torino
giovedì 10 luglio
ore 21,00 Libreria Il gatto che pesca,
Via Martiri della libertà 42, San Mauro (TO)
venerdì 25 luglio
Festival di Alpette
Privè (molto privè) aprile 2014
Postato il
Lo so, questo è il privè (molto privè, quasi pubblicità piena) di aprile, ma siamo a fine maggio.
Però la scusa è che, come già anticipato, oggi esce ufficialmente nelle migliori librerie all over the world il mio nuovo libro, MyTunes per Baldini & Castoldi.
Quindi, come si suol dire, sono stato incasinato.
Ma questo nuovo tomo (464 pagine!) “frutto della vita (molta autobiografia espansa) e dell’amore (drammatico, terminale per dischi e canzoni) di quest’uomo (io)” è finalmente disponibile.
Potete farmi figo e chiederlo alla vostra libreria di fiducia o farmi pavone e ordinarlo direttamente qui. Con dedica assicurata.
Il libro costa 16 euro
aggiungete 2 euro per spedizione ordinaria non tracciata
aggiungete 4,50 per spedizione raccomandata (tracciata)
se pagate paypal, sorry, ma bisogna aggiungere 1 euro in più alle tariffe.
nostro indirizzo payal: backdoor.torino@libero.it
Altrimenti (consigliato) bonifico bancario
UNICREDIT BANCA
BACKDOOR S.A.S. VIA PINELLI 45 TORINO
IBAN IT19L0200801167000002173077
BIC UNCRITB140L
Ma per premiarvi in anticipo e darvi un’idea del libro, ecco un inedito, classica outtake succosa rimasta fuori (lo ammetto, me l’ero scordata e una notte mi sono svegliato improvvisamente – merda, mi sono dimenticato i Killing Joke…).
Buon divertimento.
Maurizio
Requiem
Killing Joke
(Killing Joke, 1980)
“Essere artista ha sempre significato possedere ragione e sogni”
(Thomas Mann)
Maestro Tirelli tu possa bruciare nell’inferno del Rondò Veneziano. Rosolare sulla brace, oltraggiato da spruzzi di accendifuoco Diavolina e abbrustolito a fianco delle damine che suonano il violoncello. Lì devi stare, maledetto pavone gonfiato imballato in giacche di pelo maron e cravattini sabaudi. Quello dovrebbe essere il tuo posto, vigliacco di un baffino canavesano che mi hai impedito di entrare in un gruppo punk e roteare la chitarra come un Pete Townshend in libera uscita. Rondò alla turca, ma quella del cesso, dovrebbe essere la tua dannata dimora. Un vecchio adagio dice che chi non riesce a diventare un buon musicista in genere fa il critico musicale. Bè allora io dovrei essere il capo dei recensori. Ho provato diverse volte a imparare a suonare la chitarra. La più seria, nel 1980. Avevo quattordici anni e andavo a lezioni dalla Scimmia, arpeggiatore di quartiere così battezzato per il volto dai tratti vagamente scimpanzeschi. La Scimmia adorava i Chicago e viveva dall’altra parte del corso, un inferno di lamiere e smog, dove abitavo io. Attraversavo e mi insegnava gli accordi. Portava una riga in mezzo ai capelli degna di un sipario del Teatro della Fenice e vestiva come Tex. Dopo tre lezioni io sapevo già fare Dedicato della Bertè, e mi parve un risultato straordinario. Ero ebbro dei miei progressi, tutto funzionava. Mio padre però ebbe una soffiata da un collega. “Il maestro Tirelli, violino all’Orchestra del più importante Teatro della città, viene addirittura a domicilio. È bravissimo. Bravissimo che non hai idea”. Fui costretto ad abbandonare la Scimmia. Ci separammo per sempre sulle note di If You Leave Me Now, ovviamente dei Chicago. Tornai a casa con il cuore a pezzi e il falsetto di Uh uh uh uh no baby please don’t go nelle orecchie. Quadretto vagamente omosex, ma comunque straziante. Il maestro Tirelli si presentò senza esitazioni una settimana dopo, direttamente in camera mia, vestito esattamente come Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, conte di Cavour, di Cellarengo e di Isolabella, ma con l’aggravante di olezzare come una mandria di pecore assassinate e lasciate macerare nell’aglio. Lo odiai all’istante. Indossava dei mocassini credo cuciti direttamente da Geppetto e con questi batteva costantemente il tempo sulle mie piastrelle. In alternativa, faceva schioccare le dita. Aveva un libro sottobraccio, dalla copertina arancione, che si chiamava Pequenos Exercicios Melodicos. Capii subito che ci sarebbero stati dei guai. Passavamo interi pomeriggi, seduti sul copriletto patchwork fatto a maglia da mia nonna Caterina, a solfeggiare con le dita. Ogni volta che sbagliavo, mi tirava una stecca sulle falangi. Era come se vivessimo nel 1850, ero certo che la sera lui telefonasse a Urbano Rattazzi o andasse a farsi un hamburger con Pietro De Rossi Di Santarosa. Mi agitava e io indispettivo lui. La cosa che meno tollerava era la mia incapacità di dominare il plettro. Presi a farlo cadere volontariamente dentro la cassa della chitarra. La scuoteva come Paul Simonon sulla copertina di London Calling e urlava inviperito “Non è possibile, in tanti anni, mai vista una cosa simile. Santa polenta, mai”. Potevo relazionarmi serenamente con uno che usava santa polenta come epiteto? Per giunta mi toccava aerare la stanza per ore, anche in pieno inverno. Tirelli se ne andava, ma una traccia di sé rimaneva in ricordo, minando persino l’esistenza di un paio di piantine grasse che avevo ricevuto misteriosamente in regalo per un compleanno. L’eau de Cavour sembrava ammazzare pure loro. Dopo due anni di questo strazio non avevo imparato nulla. Non superai mai l’ostacolo del barrè, le mie stesse dita mi erano nemiche. Lui mi scherzava. “È facilissimo, ma mi guardi per Dio!”, prendeva la chitarra e, mentre camminava in circolo per camera mia eseguendo Segovia alla velocità di Silver Surfer, un giorno intercettò un ritaglio di giornale appiccicato sopra la scrivania. Erano i Killing Joke. “Questi chi sarebbero? Musica moderna? Io apprezzo unicamente il Rondò Veneziano. Adesso prenda quel plettro e vediamo se riesce a combinare qualcosa”. I Killing Joke mettono tutti d’accordo, Tirelli a parte, ovviamente. Punk, metallari, industriali, dj alternativi, new wavers. Lenti e pesanti, con un groove di sottofondo. Immagini del Papa che benedice truppe naziste, Jaz Coleman che canta dipinto in faccia, synth e riff monolitici. Le loro intuizioni sono state la base di molte carriere conclamate (dai Nine Inch Nails ai Korn, passando pure per i Jane’s Addiction), ma nei primi anni ottanta erano ancora un culto sotterraneo. Il loro primo album si apre proprio con Requiem: giro ossessivo di sintetizzatore, riff implacabile di chitarra e bordate di batteria. Post punk marziale, sottilmente deviato. Jaz Coleman canta di bombe che ticchettano, morte, religione e parole che cessano di avere significato. Non mi stupii quando, nel 1982, proprio Coleman se ne andò in Islanda ad attendere l’Apocalisse. Stava arrivando. Davvero? Nel frattempo mi beccai un’influenza belluina. Per giunta mancavano pochi giorni all’interrogazione sul Doctor Faustus di Thomas Mann. Ero drammaticamente indietro nella lettura. Mia madre chiamò Tirelli e gli disse che avrei dovuto saltare la lezione. Finalmente una buona notizia. Non bloccò però la febbre. Requiem mi si piantò in testa. Succede, tu stai male e una canzone ti si ripresenta ossessivamente. Poteva andarmi peggio. Iniziai comunque a delirare, il Diavolo si offriva di comprarmi l’anima in cambio dell’immediata padronanza del barrè. Fui sul punto di accettare. Thomas Mann si mischiava al giro della chitarra di Geordie Walker. Mi convinsi che l’Apocalisse stava davvero arrivando e per giunta io la stavo aspettando in pigiama. Il paracetamolo mi tolse dall’imbarazzo. Guarii, presi un onesto 7 sul Doctor Faustus e, in un momento d’ispirazione, composi uno strumentale alla chitarra. Una schifezza do sol sol la sol sol che chiamai, ovviamente, Requiem. Venni a sapere che i Killing Joke tutti stavano rientrando in Inghilterra. Nessun segnale dell’Apocalisse. Meno male. Mi son sempre domandato come si fossero organizzati. Stavano su un balcone a scrutare il mare? Misuravano i venti? Chissà. Comunque decisi di farla finita lo stesso. Affrontai i miei e chiesi di giubilare Tirelli. Non ce la facevo più. Pietosamente, acconsentirono. Liberato da un simile macigno, mi presentai nella palestra del mio liceo, dove alcune band di studenti si sarebbero esibite nel pomeriggio. I nostri favoriti attaccarono per ultimi. New wave totale. Cambiavano nome di continuo. No Real, Ecole Maternelle, forse all’epoca ne avevano addirittura uno diverso. Li adoravamo. In chiusura tentarono una cover dei Killing Joke. Gli riuscì talmente male che non capimmo se fosse Wardance o Requiem. Verso metà il bassista si fermò e disse al microfono “Ci spiace ragazzi, ma non riusciamo a farla”. Uno di fianco a me, appeso al quadro svedese urlò “Fatela lo stesso e vaffanculo a Baglioni”. Gli andai dietro “Sì e vaffanculo a Tirelli e al Rondò Veneziano”. Ci fu un boato di consenso incondizionato e loro riattaccarono, forse, Requiem. Urlavamo tutti. L’apocalisse poteva attendere.
Playlist:
cose che mi sono piaciute:
Dischi:
Donato Epiro Fiume nero (Black Moss)
Tribalismo anni settanta che emerge da un rio amazzonico dove una tribù sanguinaria sacrifica un pellegrino abbandonato ai boa constrictor
(chiaro, no?).
Scuro e ossessivo.
Damon Albarn Everyday Robots (Parlophone)
Una toccante festa alla propria mezz’età
Denovo Kamikaze Bohemien (Viceversa)
L’esordio mai uscito. Diciamocelo, erano dei fenomeni pop.
Cagna Schiumante Cagna Schiumante (Tannen)
Aspro e potente. Libero. E splendido da dire: “Cosa ascolti tu ultimamente?”. “Cagna Schiumante!”.
Mette a posto chiunque
Libri:
Joe R. Lansdale La foresta (Einaudi)
Forse un po’ gratuito per il dosaggio di violenza, ma Lansdale è Lansdale
Simon Goddard Simply Thrilled – The Preposterous Story of Postcard Records (Ebury Press)
L’epopea della Postcard records di Glasgow, i Josef K, gli Orange Juice, santo cielo…
Altro:
La signora borghese (accompagnata da marito e cane dalmata) che al Salone, dopo aver comprato il mio libro, ha scelto in omaggio il 45 “brutto” La novia di Antonio Prieto.
E mi ha confidato “Sa, proprio su questa canzone ebbi un rapporto completo”.
“Ahh”, ho risposto io.
Quindi si è rivolta al marito con misurata nonchalance: “Ricordi anche tu, Aldo?”.
Impassibili, né lui, né il dalmata hanno replicato.
Enrico
Postato il
Non sono passati nemmeno due mesi dalla scomparsa di Enrico Fontanelli
e credo che chiunque lo conoscesse abbia pensato a lui ogni giorno.
Questo è il mio ricordo di Enrico, pubblicato sul numero di maggio di Rumore
Aggrappandosi a una distanza
Una delle ultime volte che ho camminato di fianco a Enrico Fontanelli lui, senza quasi fermarsi, ha scattato una fotografia a una macchina parcheggiata.
Si è abbassato leggermente e ha inquadrato una targhetta di un vecchio modello, credo, di fine anni settanta. Non saprei quale.
Mi ha sorriso, come a dire “Non possiamo farne a meno”. È vero, non possiamo.
Tutto significa qualcosa, molto ci serve. Tanto lo buttiamo. Ma ci sono cose alle quali dobbiamo aggrapparci.
Enrico era una persona gentile e ricca di talento. Aveva una faccia bellissima, che spesso mascherava con le sigarette sul palco. O con una riservatezza dolce, che l’ha accompagnato fino alla fine.
Quando ho saputo della sua morte ho rimpianto di non intendermi di macchine, dei modelli che si susseguono nel tempo. Bestia che pensa sempre ai dischi, se avessi memorizzato che cos’era quel rottame grigio che avevamo superato insieme, ogni volta che uno anche soltanto simile mi fosse passato sotto gli occhi avrei pensato, Enrico.
Un chiodo piccolo su parete liscia di tristezza. Un aggancio.
Rimangono i ricordi personali e la musica, ovviamente. Io credo che le sue macchine vere, quegli strumenti ostinatamente ancora funzionanti e tenuti stretti con lo scotch marrone, sentano la nostalgia del suo tocco, esattamente come le persone che Enrico ha sfiorato. Penso a quel meraviglioso adesivo degli A Certain Ratio che aveva appiccicato su una specie di tastiera. Lentamente si staccherà per il calore del tempo e per il freddo della sua assenza. Scelgo per Enrico due appigli. Non so nemmeno se li ha suonati lui o Daniele, se sono un suggerimento di Max. All’inizio e alla fine di Bachelite degli Offlaga Disco Pax ci sono due effetti, minimi e precisi. Dopo un minuto e venti di Superchiome, i Kraftwerk. Allo scoccare dei tre minuti e cinquantacinque di Venti Minuti, i Joy Division. Lasciati lì per noi, espliciti. Una semina di condivisione.
So che oltre alle sue canzoni, ogni volta che sentirò quelle dei Kraftwerk e dei Joy Division, quelle da cui sono stati riflessi quei pochi secondi penserò, Enrico.
E so che succederà. “Non possiamo farne a meno”. È vero, non possiamo.
Tutto significa qualcosa, molto ci serve.
Ma questo lo teniamo. Stretto, con le nocche bianche per la presa.
Maurizio Blatto
Salone del Libro
Postato ilGrazie a tutti quelli che sono passati a trovarmi al Salone,
che hanno comprato il libro aggiudicandosi una schifezza di 45 giri e hanno partecipato anche alle session fotografiche di Shake (il libro con i cani che si scrollano), straordinaria trovata dello stand di Baldini & Castoldi che mi ha quasi slogato una mascella.
sotto qualche foto
(https://www.facebook.com/baldinietcastoldi)
Maurizio
al Salone!
Postato il-domenica 11 maggio
Salone del Libro di Torino
Ore 16,00 stand Baldini & Castoldi
Firma copie +
Un disco brutto per ogni libro bello (MyTunes)
in sostanza regalo un 45 “brutto” (rigorosamente brutto) a chi compra il mio libro
in omaggio allo Stato del Vaticano, ospite ufficiale del Salone del Libro 2014,
spicca tra gli omaggi “Solo Grazie” di Padre Giuseppe Cionfoli
Vi aspetto!
Maurizio
MyTunes
Postato il(foto di Stefano Blatto)
Miei cari, si ricomincia.
Dal 21 maggio in tutte le librerie,
ma già in vendita al Salone del Libro di Torino
esce MyTunes, il mio nuovo libro.
Sotto trovate una scheda di presentazioni e i contatti “uffciali” per reading, presentazioni, vernissage e amenità assortite
Maurizio Blatto
MyTunes
Come salvare il mondo, una canzone alla volta
Saggi pag. 464- euro 16,00
“Non dimenticare le canzoni che ti hanno fatto piangere e quelle che ti hanno salvato la vita” Morrissey
Mytunes è la prova che le nostre vite sono funzionali alle canzoni. E non il contrario. Ogni parte di noi va a incasellarsi dentro melodie e stacchi di chitarra in perfetto sincrono. “Spiegare” le canzoni è il pretesto per abbandonarsi alla letteratura autobiografica. Dettagli storici e alta fedeltà narrativa. Giornalismo musicale sciolto nella fiction.
MyTunes è la rubrica più seguita della rivista “Rumore”: ne abbiamo raccolto il meglio, interamente ampliato e rivisto. Remixato verrebbe da dire, insieme a una gran parte completamente inedita. Rolling Stones, Belle and Sebastian, Battisti, Johnny Cash, My Bloody Valentine, Neil Young, Smiths e molti altri. Insieme a ricordi liceali, vacanze, rabbie quotidiane e grandi aspirazioni.
A corredo della raccolta, una serie di playlist compilate per farsi largo tra le pagine e diventare piccola colonna sonora quotidiana.
Fidatevi, la musica “è più grande della vita stessa”.
MAURIZIO BLATTO è nato a Torino nel 1966 ed è cresciuto all’interno della sua collezione di dischi. Firma storica della rivista musicale “Rumore”, è rintracciabile ovunque si discuta di pop indipendente inglese. Per Castelvecchi ha pubblicato L’ultimo disco dei Mohicani. È stato definito il “crooner del giornalismo musicale”.
Chiara Ferrero (Ufficio stampa)
c.ferrero@baldinicastoldi.it – tel. 02 94559631 – cel. 342 1405267
Mario Vanni degli Onesti (Social Media)
m.vanni@baldinicastoldi.it – Twitter: @BaldiniCastoldi
MyTunes
77 canzoni e la vita che batte dentro il loro ritmo. La storia musicale e quella dei ricordi che si porta dietro. Come una playlist, una cassetta mista dove basta schiacciare i tasti per ricordarsi chi eri, cosa succedeva e a che velocità. Il punk e le sconfitte calcistiche, l’epica familiare e le aspirazioni liceali. La sezione ritmica è la storia di quei brani, la chitarra solista è il racconto privato che ne scaturisce.
«Se ci ripenso mi vedo sempre là, anche quando l’inverno se n’è andato e la scuola è finita. Con Asleep che gira. Arrivarono le vacanze e progettai con la mia ragazza di andare in Grecia, a girare senza fretta tra le isole Cicladi. Sole, vento, libertà, ma anche gli Smiths, ovviamente. Due giorni prima di partire mi si ruppe il walkman. La semplice prospettiva di non poter ascoltare Asleep per almeno due settimane mi fece prendere in considerazione l’idea di rimandare la partenza. Avevo lo zaino pronto e il cuore vuoto. Non ce la posso fare, mi ripetevo. Sto qui. Poi mi ricordai dell’autoradio. A cassette, ovviamente. Avevo comprato un modello ai limiti dell’immaginabile, soprattutto oggi. Estraibile come tutte quelle dell’epoca, godeva di un insolito benefit: se collocate le pile nell’apposito vano, poteva funzionare come walkman. La casa produttrice forniva anche una sorta di tracolla dagli eleganti colori gialli e neri per consentirne un utilizzo da passeggio. Diventava una specie di borsello con le dimensioni e la pesantezza di un tostapane. Una follia. Tu andavi in giro con questa bestia di metallo e potevi allegramente ascoltare le tue compilation su nastro. Non credo sia mai stata utilizzata in questa modalità. La guardai e pensai “Sarò io il primo”. Andrò sulle spiagge greche in costume e tostapane walkman. Lo farò. Ascolterò Asleep, sono salvo. Comprai le pile e lo collaudai camminando nel corridoio di casa mia. Mi sarei lussato una spalla, questo era certo, ma funzionava egregiamente. Quando esposi il mio progetto, mi inquadrarono per quello che ero, un idiota. La notte prima di partire mi vennero dei dubbi. Forse pesava più il tostapane walkman dell’intero zaino. E se me lo avessero rubato? Poteva risultare un tantino scomodo? Avrei destato perplessità a fare una vacanza a piedi con un’autoradio appesa al collo? Colto da uno sprazzo di lucidità, decisi di abbandonare il mio progetto e mi scrissi su un foglietto le parole di Asleep. Rimasi sveglio e le imparai a memoria.»
meglio essere bastonati, certe volte
Postato il
A pagina XIII della sezione cittadina de La Repubblica di oggi (edizione cartacea) esce un articolo (consueto, ormai) sul Record Store Day. Sulla manifestazione, che inizio cordialmente a detestare, mi sono già espresso in diverse sedi. L’articolo riporta alcune mie dichiarazioni, non rilasciate di persona ma prese da un comunicato stampa del mio libro (definito cortesemente “molto bello”). Parole (le mie) comunque ancora sottoscrivibili, sebbene vecchie di quattro anni e rinnovabili in tempo zero. A fianco, una mia foto dove si dice “Maurizio Blatto del Les Yper Sound”. Ora, niente contro i colleghi cittadini, ma come dire, io lavorerei da Backdoor, come scritto nell’articolo e come verificabile con un click via google. Già, la rete. L’eterna rivalità della vecchia e calda carta e del freddo ma veloce web. In pochi giorni ho risposto a precise e cadenzate (mando una domanda e tu rispondi, a quella mi aggancio e andiamo avanti. Metodo ottimale per fare una vera intervista via mail) per il sito http://www.bastonate.com/2014/04/18/maurizio-blatto/ Oggi è stata pubblicata ed è inappuntabile e ben curata, come tutto quello che sta lì dentro. Ora, sono due casi limitati e autoreferenziali, ma ognuno tragga le proprie conclusioni. Sempre su Repubblica venne recensito il mio primo libro a nome Alberto Blatto. Ora, come dire, io mi chiamerei Maurizio. Non hai un computer per verificare? Bè, magari leggi il nome sulla copertina del libro stesso. Dai. Pare sia colpa dei deskisti, categoria professionale nebulosa e, a quando risulta, più protetta degli statali odiati da Miglio e Brunetta. Chi sono costoro? Giovanissimi inesperti sciattoni che non verificano quanto scrivono? Vecchi imbolsiti da anni di lavoro pseudo usurante? Non conosco google? Mi odiano perché una volta gli ho venduto il secondo disco dei Guillemots? Non saprei. Ho un libro nuovo in uscita a maggio, e sinceramente mi tremano già le vene…
L’ ultimo disco dei Mohicani
Postato il
Pubblicato nell’ottobre 2010, L’ultimo disco dei Mohicani (Castelvecchi), è il libro della piccola grande epopea di Backdoor.
Amabili deliri pseudo discografici, collezionisti al di là dell’immaginabile, umanità esorbitante. Commedia all’italiana e rock’n’roll.
Insomma, la versione Abatantuono di Alta Fedeltà di Nick Hornby.
Ormai ristampato in diverse edizioni, e attualmente disponibile in edizione economica (LIT, 9,90), è diventato un piccolo successo quando ha iniziato a far ridere anche chi non sapeva chi fossero gli Psychedelic Furs o non immaginava nemmeno che il vinile esistesse ancora (un classico “Ma quei padelloni li fanno ancora?”).
Presentato per quasi tre anni di fila in giro per l’Italia, è spiegato mirabilmente qui:
http://www.youtube.com/watch?v=dI38YLfCjww
Imperdibili gli Offlaga Disco Pax che adottano uno stralcio del libro, Beissline, per il bis del loro Prototipo Tour del 2010
http://www.youtube.com/watch?v=Ocz6LWjx7OA
e qui, due highlights dal Mi Ami Festival di Milano del 2011.
Reading con il fido Paolo Spaccamonti
ed Emidio Clementi ospite per Cloaca
http://www.youtube.com/watch?v=_hOqzaxm3-U
e Stefano Pilia per Beissline
Ne volete una copia autografata e/o con dedica?
Basta chiedere e ve la spedisco
Maurizio Blatto
Maurizio Blatto
L’ULTIMO DISCO DEI MOHICANI
Backdoor, Torino: siamo aperti. A cosa? Grossomodo a tutto. E a tutti. In particolar modo a quelli che davvero non pensavate potessero esistere. E invece esistono, sono il variopinto circo di clienti – più o meno occasionali, più o meno appassionati, più o meno folli – di uno storico negozio di dischi specializzato in vinile e intento a vivere l’amore per la musica dall’altra parte della barricata: un luogo talmente vero e talmente incredibile da essere più pop di un coretto dei Beach Boys. Ecco, allora, sfilare il piastrellista devoto al funky e alle donne di colore, l’audiofilo sorpreso dalla moglie con uno stereo in un appartamento affittato di nascosto e l’uomo che ha inventato i Massive Attack. Per non parlare dell’immigrato slavo che voleva morire sotto la sezione reggae, dell’indomabile Sentimentalista o del fan degli Alarm con documenti compromettenti per la FIAT…gente strana?
Se la pensate così, non vi siete mai trovati di fronte a quei clienti che, incerti su cosa comprare, hanno chiesto: “Ma Che Guevara ha fatto più niente?”.
Privè marzo 2014
Postato il(foto di Roberto Zava)
Alla fine ho chiuso il santuario. Sono stati bei momenti, ma ho temuto di vedere i pullman parcheggiati nella piazza deserta del mercato con i cartelli stile “Pellegrini Santa Bilinda”. Non che fosse una cattiva idea, magari si potevano stampare dei santini tascabili con il tacco sulla pedaliera, sulla falsa riga di quelli che si muovono in una specie di tridimensionalità a poco prezzo. Una volta ne ho visto uno di Padre Pio, se lo spostavi apriva e chiudeva gli occhi. Quando era in fase “palpebra calata” erano velati di sangue, tipo Walking Dead. Non ho dormito per alcuni giorni. Comunque, lo ripeto, ci siamo divertiti. La gente veniva e adorava. Alcuni fedeli si sono uniti on line, grazie alle icone esibite sul sito. Più o meno tutti hanno detto la loro. Alcune perle:
- Lo smemorato. Deciso: “Me la ricordavo diversa nelle Breeders”
- Father & Son. Entrano padre e figlio. Father: “Rifatti gli occhi, figliolo, ma sappi che è soprattutto una grande chitarrista”. Son: “Papà, ha le stesse scarpe di zia”. Silenzio. Father:“ Andiamo va, che mi è crollata la poesia”.
- L’esperto terminale. “Sì, ma lo shoegaze è un genere sopravvalutato. Tutti a copiarlo, a sbavare per questa qua, quando ci sono stati musicisti dell’area illbient che la gente si è scordata dopo cinque minuti”.
- She & Him. She: “Certo che voi maschi siete tutti dei fenomeni, basta che una abbia una gonna corta e un paio di tacchi e non capite più niente. Se hanno vent’anni poi, potrebbero anche non saper suonare”. Him: “Ti sbagli. Qui, com’è scritto, è la pedaliera il vero oggetto erotico. E poi ha cinquantadue anni”. Di nuovo, silenzio. She: “Mah, andiamo che poi chiude la Coop”.
- Il transustanzionista. (via mail dal Texas, voi sapete chi…). Da quando è uscito mbv e i My Bloody Valentine si sono improvvisamente ri-materializzati dopo tutti questi anni è oramai chiaro che Kevin Shields non esiste più. La sua natura ha subito l’ovvia transustanziazione nelle molecole di feedback di queste canzoni aeree attese per decenni. Il suo corpo aereo dissolto in un cataclisma celeste di rainy guitars. Non crediate di averlo visto sui palchi di mezzo mondo nel 2013. E’ chiaramente un sosia tirato fuori ad arte perché’ il rock ha bisogno di fisicità, si nutre di riferimenti. Kevin e il suo ciuffo anfetaminico sono oramai da un’altra parte, immersi nel suono puro. Non ci resta che Bilinda. Ripresa nel dettaglio come mai prima, nelle foto che accompagnano recensioni del disco e cronache dei concerti. Con la sua chitarra tenuta bassa sotto la cintura, come lo sguardo che continua a inseguire la punta delle scarpe. Bilinda, ah Bilinda. Un angelo caduto dal cielo, perduta in uno squat a Brixton con suo figlio Toby, appena nato. Eserciti di siringhe infette e montagne di droga che minacciano di scalfirne invano la sostanza eterea. La sua sostanza eterea sopravvivrà’. Bilinda, obbligata a svegliarsi di botto alle sette di mattina e registrare la sua voce per catturarne l’essenza del sogno in quelle canzoni che si dichiaravano Loveless, senza amore, perché assolutamente oltre un amore sillababile dagli umani. Bilinda tirata su a studi classici e Bauhaus. Sostanza mondana di un sogno altrimenti etereo. Oramai, rimasta sola a dare traccia di una qualche esistenza terrena per quell’entità My Bloody Valentine altrimenti non rintracciabile. Bilinda, Dolce Stil Novo cantato da ogni fan indie pop, si dà con grazia a ogni scatto fotografico e spinge il pedale con il tacco, ogni notte, per provare di nuovo a dare sostanza all’eco di Kevin, oramai perduto fra le stelle di un suono che non riesce a venire a patti con la materialità. Ah Bilinda. Ci mancherai, lo sappiamo già ora, quando ti dissolverai anche tu in un mare di suono e della tua essenza angelica ci rimarrà l’eco di un paradiso innocente. Scorporata nelle linee parallele del tremolo, come un’onda anomala. Sarai la sostanza di poeti che cercheranno di disegnare il tuo profilo fra le stelle, senza riuscire a catturarti mai.
- Il concreto. (via mail, non saprei da dove). “Diofà! Grazie”.
- Il filo-friulano. (via mail, luogo sconosciuto). “Non mi sorprende te l’abbiano mandate dal Friuli, ho tanti amici là”. Chiedo un filo di spiegazione alla cosa, ma non risponde al mio messaggio.
- Il monotematico. “Bella, e brava. Puoi chiederle se ha degli ep dei My Bloody Valentine, ma solo stampe originali, da vendere?”. Faccio presente che non è reale, ma si tratta soltanto di una foto. “Ah, pensavo comunque avessi un contatto”.
- L’utilitarista. “Grandissima chitarrista. E indubbiamente, bel personale. Sono immagini che torneranno utili nei momenti difficili, come le ultime pagine di Rockerilla degli anni ottanta. Quelle sul metal, con le tipe bionde con i bikini striminziti di pelle nera borchiata”. Tutti i presenti annuiscono in silenzio.
Non male, no? È pur sempre primavera, fioriscono gli alberi di pesco e sbocciano i feedback sugli amplificatori. Godiamoceli.
Playlist:
cose che mi sono piaciute:
Dischi:
Sun Kil Moon Benji (Caldo Verde)
L’album definitivo di Kozelek. A breve, una lunga riflessione sul disco firmata dal nostro collaboratore di lusso: Il Direttore.
Aidan Moffatt/Bill Wells Everything’s Getting Older (Chemikal Underground)
2011. L’ex Arab Strap e il Morricone di Scozia.I rapporti umani messi a nudo totale. Vale la pena tornarci ogni tanto.
Selfimperfectionist w/ ILM :act :reshape (L.M.H.)
Il reshape dell’esordio di selfimperfectionist. Tooting Park Station si riempie di nuovi suoni. Un po’ più tenera è la notte.
Weekend The ’81 Demos (Blackest Ever Black)
La naturale prosecuzione degli Young Marble Giants. Arte minimalista.
Bill Callahan Have Fun With God (Drag City)
“Dream River In Dub”, avverte lo sticker. Ma è un dub notturno, senza sole, quasi morbido. Ipnotico.
Libri:
Michael Sandel Giustizia – il nostro bene comune (Feltrinelli)
Filosofia politica e morale, Harvard. I diritti dei singoli e l’utilitarismo, agganciati alla realtà. Illuminante.
Altro:
Corrado Augias: “Io ti voglio bene, Corrado Augias. Mi piace quello che dici, ma soprattutto come lo dici. Quell’italiano così fluido e impeccabile. Il timbro sopraffino della voce. Come metti a posto cretini e maleducati con risoluta eleganza. Ti prego, proteggimi da quelli che mi scrivono le mail e scrivono fiume Po’ con l’accento, dai barbari dei forum, dai telecronisti di calcio che urlano e dicono “spizzata del difensore”. Ma cos’è una spizzata, Corrado Augias? Me lo dici tu com’è stato possibile lasciare entrare questa parola nel nostro lessico quotidiano? Grazie, grazie di tutto, Corrado Augias”.