non siamo mica a teatro

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“Scusa, ti spiacerebbe andare a chiacchierare da un’altra parte, stai disturbando. Vorrei sentire il concerto”. Pausa (breve). “Oh, ma mica siamo a teatro”. Ecco, negli ultimi tempi succede un po’ troppo spesso. Vai a sentire qualcuno e la gente parla, parla, parla, parla. Magari esattamente sotto il palco e urlando per sovrastare il suono di chi si sta esibendo. Bene, avete rotto i coglioni. Nessuno vi ha obbligato a entrare (nemmeno se è gratis. A proposito, basta anche qui. Mettete un biglietto equo e pagate i musicisti), le sale spesso sono vuote, è pieno di bar, piazzali antistanti, terrazze sui fiumi sui quali specchiarvi in tanta bellezza alternativa. Andate lì. Se siete venuti per ascoltare chi suona, fatelo, con un comportamento adeguato (no mutismo, no sproloquio: umani), altrimenti ciao. Imparate almeno che cosa vi piace (regola fondamentale della vita) e non rompete il cazzo al prossimo (regola fondamentale della vita). A questo proposito pubblichiamo sotto un apprezzato commento sul tema. Dimenticavo, alla replica del teatro si può controbattere con “Sì, ma non è nemmeno un simposio sul precariato”, “Certo, ma non siamo neppure nel recinto delle oche”, “Vero, ma il Processo del Lunedì non mi interessa”. Le possibilità sono infinite (schiaffoni included, com’è ovvio). Alè.

Maurizio Blatto

Durante l’ultima settimana ho avuto la fortuna di assistere, in prima
fila davanti al palco, a quattro ottimi concerti; pubblicherò di seguito
le statistiche relative al volume del chiacchiericcio percepito nelle
prime file che, per l’ennesima volta, ha impedito al cretino che sta
scrivendo questo post di poter assistere a quello che considerava un vero
e proprio evento, atteso per tutta l’estate.
Non menzionerò i nomi degli artisti poiché vorrei evitare inutili imbarazzi.

- giovedì sera, ore 23:00, chitarra solista ed effetti: 70% vacanze,
partenza stentata della Juventus in campionato, esami da completare,
cambiamenti generazionali in stile Pacifico (cfr. Class, 2014, Mondadori)
20% dischi comprati due giorni prima
10% pettegolezzi sui baccagli

-giovedì sera, ore 24:00, quartetto storico, atmosfera perfetta, approccio
elegante: 20% ” questo drink lo facevo meglio io” 30% la
Juventus si riprenderà 40% pettegolezzi sulla strumentazione 10% ma a
Milano c’è ancora il Tunnel?

- sabato sera, ore 1:30 am, sul palco c’è un’istituzione vivente,
oltre trent’anni di carriera: 50% esplosione dei filmati caricati su
cellulare in precedenza, in sincrono, roba da far impazzire i server 1%
“cazzooo, l’Africa, hai capito? L’A F R I C A!”, 49% non
sono in grado di trasmettere la statistica poiché mi si è annebbiata la
vista…
A quel punto mi sono aggrappato alla transenna e ho guardato lo schermo; i
suoi dischi li ho, li avrei riascoltati a casa la domenica mattina.

Giorgio Pilon


estivo/nonestivo

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Piccolo sondaggio backdooriano.

alla fine hanno vinto gli estivi di un punto. Così è.

Tipi estivi

Il Direttore

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-mi  piace l’estate

Mi piace osservarla, l’estate. Prendermi il tempo per assaporarne i profumi, gli odori. Tutti. Il lungomare come piano sequenza.

 -elencare qualche aspetto positivo dell’estate

Immaginate serate bollenti, di fronte al mare, corpi che si sfiorano, sudore, eccitazione naturale o artificialmente catalizzata da pastiglie e bevande dai colori improbabili. Il ritmo che pulsa e i cuori che accelerano per stargli dietro. E poi il silenzio. Il sole mostra il primo frammento di circonferenza dalla linea blu del mare e un altro giorno chiude il sipario su bicchieri mezzi vuoti abbandonati sui tavolini, frammenti di carta da filtro, puzza di urina mista a olio solare. Io sono quello che ama respirare il presente che i corpi sudati macinano gioiosi. Osservare piuttosto che partecipare. Arrivare quando tutta l’urgenza del vivere ora, qui, come fosse l’ultimo respiro prima di morire, finalmente si quieta. E’ un lampo (caldo e avvolgente) di serenità, prima che la festa ricominci fra qualche ora. La mia isola, dove quell’immensità blu ci guarda e determina il mio limite. L’estate metafisica. L’isola come concetto atemporale.

 -una descrizione tua estiva

Poco prima del tramonto, in riva al mare. Quando un buffo di sole accarezza ancora le pelli stanche e il flusso di persone comincia a lasciare il bagnasciuga. Ascolto uno fra Masin, Battisti o qualche genietto pop inglese che ha sognato i tropici in cartolina. Osservo quei sorrisi, quei corpi pronti per darsi alla notte o per l’ultimo tuffo e li abbraccio. E’ la cristallizzazione massima di tutti i presenti possibili. Vorrei non finisse mai.

 -un disco e/o un libro per esaltare l’estate

Solitamente e per contrasto il libro è  un volume enorme, anche faticoso, che richieda la necessita di cullare il tempo. Quest’anno sarà Gli Increati di Antonio Moresco. Le canzoni, tante, per ogni anno passato al mare, d’estate: Jolla di Tempelhof e Gigi Masin, La Canzone del Sole di Battisti, Wild Horses dei Prefab Sprout, Summer Babe dei Pavement, Forgotten Bridges di Stuart Moxham e Louis Philippe per dirne alcune. Forse come disco, sceglierei Subtitulo di Josh Rouse, che racchiude un pò tutto.

 -premio crema solare a:

 Personaggio: Lucio Battisti

Oggetto: Definitivamente la copertina di If WIshes Were Horses dei BlueBoy. L’estate del Cuore.

 

Selfimperfectionist

d nepal

 

 

 

 

 

Sono un tipo definitivamente estivo.

 Amo l’estate perché :

- il mio primo bacio fu in inverno, ma l’inverno romano del 1987: praticamente l’anticipazione dell’estate che sarebbe arrivata qualche mese dopo

- Loano a giugno in compagnia dei nonni con in cuffia gli Smiths

- la Juventus fa il vernissage a Villar Perosa e ogni volta che ci penso mi prende una malinconia inestinguibile.

La glorifico ascoltando questo capolavoro, ogni estate:

Deutsch Nepal + The Moon Lay Hidden Beneath a Cloud  A Night In Fear

La mia situazione estiva perfetta:

Piazza Bologna ( Roma)  ad agosto, l’asfalto prende fuoco e la piazza circolare diventa un vortice nel quale dimenticare se stessi.

Marco

1926-Pubblicità-Sciroppo-cedro

 

 

 

Sono un tipo estivo.

- pantaloni corti da giugno a settembre, cedrata e panaché

-disco: Nozinja Nozinja Lodge

-libro: Etgar Keret  Sette anni di felicità

-premio crema solare: Giampiero Ventura

 

Il Signor Franco

zonker

 

 

 

 

-elencare qualche aspetto positivo dell’estate

Le ragazze si vestono meno

Non lavoro per un mese

Le pesche

e la glorifico in questo modo

Picol Lis Neris, temperatura di servizio 11°

 -una descrizione tua estiva 

Tutti nudi a Matala

 -un disco e/o un libro per esaltare l’estate

Poco prima dell’aurora Fossati-Prudente

Lo Straniero  Albert Camus

-premio crema solare a: 

Zonker Harris

 

 Andrea F.

Junior+Voa-Canarinho

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi piace l’estate perché: 
- fino all’anno scorso su Raitre compariva la pubblicità della Cedrata Tassoni;

- si corre il Tour de France;

- al cinema liberty di Bordighera proiettano le seconde visioni dei film che non sono riuscito a vedere nel corso dell’anno;

- in alta Val di Viù piove per tutto il mese di agosto.

e la glorifico: 

- passando almeno un pomeriggio sul lungomare di Bordighera nella vana attesa di veder comparire all’orizzonte Robyn Hitchcock;

- ascoltando Climate of Hunter di Scott Walker e Frozen Orange di David Kilgour

- leggendo Se questo è un uomo e La tregua di Primo Levi.

Premio crema solare: 

- al mitico Leo Junior (Beach Soccer World Championship Best Player and Top Scorer nel 1995, 1997, 1998 e 2000).
Voa Canarinho Voa!

Stefano Bianco

ventura

 

 

 

 

 

 

Adoro l’estate.

Adoro la città vuota di agosto, andare in bici per le strade deserte, attraversare Corso Lecce col rosso, il silenzio. Mi piace il caldo stordente, l’aria che fluttua lontano sull’asfalto (questa potrebbe essere una posizione di minoranza).

Mi piace non fare niente, e d’estate non faccio niente (non è vero, ma mi piace pensarmi così).

E c’è il calciomercato, puoi illuderti che per una volta il Toro chissà.

Lo so, il mare, le zanzare, la domanda “quando/dove vai in vacanza” di gente a cui non interessa la risposta, e causa famiglia non posso più dare quelle belle risposte tipo “due settimane in Asia Centrale, dev’essere molto interessante”.

Poi, ci si deve divertire per forza, espressioni da Villaggio Turistico, la gente in montagna che va in auto ovunque. Non importa.

E poi la frutta, l’anguria e il ghiacciolo che ti fanno tornare adolescente.

E le pesche sono definitivamente più buone dei cavolfiori, questa non è una posizione di minoranza.

Ascolto poca musica, meglio musica fatta di poche cose (cantautori low fi, cose così).

Leggo libri lunghi e noiosi, classici, e mi chiedo perché lo faccio.

Quest’estate, La storia, forse Moby Dick.

 Il premio Crema Solare è di Giampiero Ventura, non si discute.

 

Tipi nonestivi

Bruno

j s cantona

 

 

 

 

 

 

 

 

 

stan the man

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Facile: sono un tipo non estivo. 

L’estate, per quanto mi riguarda, inizia ad avere un senso solo al di sopra di una linea immaginaria individuata da queste coordinate: 50° 11′ 01” N, 0° 31′ 52” W (rif. Wikipedia, alla voce English Channel).
Lì si inizia a ragionare: cieli plumbei, stridio di gabbiani, zaffate di fish&chips, vento e pontili protesi verso il mare più bello che c’è.

Al di sotto è un inferno.
La montagna non mi piace.

Al mare(dove normalmente trascorro l’estate) mi scotto pure i piedi.
In città, persino ascoltare i dischi mi risulta faticoso.

Aspetti negativi dell’estate ? 
Il sole (ovvio), la sabbia, le creme: la combinazione delle tre mi è letale.
E poi d’estate non c’è più nulla: non escono dischi, non c’è il campionato, il vitello tonnato scompare dai menù.
Infine non sottovaluterei, tra gli orrori dell’estate, i (pantaloni a) pinocchietto.
Per me è più che sufficiente.

Mi difendo così: 

maglietta “JE SUIS CANTONA”, pantaloncini linea “Wawrinka-al-Roland-Garros”, ray-ban, birra cecoslovacca e Tuttosport.

Il tutto rigorosamente all’ombra.

Leggerò Underworld di De Lillo, ascoltando Head Over Hills dei Cocteau Twins.

Premio Aria Condizionata 
A me stesso: una settimana sulla spiaggia di Margate con la felpa e A Distant Shore in cuffia.

Luigi Lule Kaine

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Detesto l’estate

 -elencare qualche aspetto negativo dell’estate

Potrei dilungarmi, ma cercherò di essere breve.

Calura e sensazione di pre-morte a parte elencherò un aspetto pratico ed uno estetico.

1. Ho caldo. Quanti soldi posso investire per ovviare al problema? Si riduce ahimè a una mera formula matematica: “Il grado di sopportazione della calura è inversamente proporzionale al denaro che si è costretti a spendere” Stare al fresco costa.

2. Bermuda e pantaloncini. Si pensa siano d’obbligo e a malincuore li uso anche io, ma il risultato è che qualunque uomo appare imbecille in pantaloncini, spesso perché non comprende che accoppiarli con calzature aperte peggiora la situazione. Se poi sei tedesco il calzino è d’obbligo e si scivola nel trash. Giusto per fare un esempio: qualcuno ha mai visto immagini di Clint Eastwood in calzoncini? Non ne esistono. Anzi con Sergio Leone girava western in Andalusia con tanto di poncho. 

Mi difendo in questo modo

Vita pre-genitoriale:

Rimedio per afa #1 – Raggiungere i 1000-1500m sopra il livello del mare / psicadelia e kraut

Rimedio per afa #2 – Raggiungere i 1500-2000m sopra il livello del mare / elettronica

Rimedio per afa #3 – Viaggetto in paese nordico / wave e dark a palla

Rimedio per afa #4 – Mare (isole o sud) / ambient e post rock

Rimedio per afa #5 – Sala prove nei sotterranei dei Docks Dora / DIY

Vita genitoriale

Rimedio per afa #1 – Acquaticità in piscina comunale / Peppa e i suoi amici

Rimedio per afa #2 – In campagna dagli zii / Masha e orso

Rimedio per afa #3 – Liguria / Raiyoyo e/o DVD di Pimpa

-un disco e/o un libro per salvarsi dall’estate

Pochissimi possono davvero sfuggire all’estate.

Per quasi tutti è un lento soccombere. Consigli:

DISCO: William Basinski – Disintegration Loops // per un lento disfacimento

LIBRO: Michel Houellebecq – Sottomissione   // eloquente direi

VISIONI: Fargo – Serie TV  // 10 puntate di questa serie immerse nel gelo e nella neve potrebbero rinfrescare.

Maurizio Blatto

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Detesto l’estate

 -elencare qualche aspetto negativo dell’estate

L’estate mi ripugna e la odio più di Bruno Martino. È una stagione malefica inadatta al mio corpo, governata dalla pigrizia e dall’abbandono. Per uno come me, che vorrebbe perdere completamente l’olfatto, è insostenibile. L’estate puzza, i corpi marciscono (salite sul metrò verso le 13 e poi ne parliamo). Le città sono invivibili, i muri bollenti, scavi e lavori ovunque, bonghisti nelle piazze, immondizia e muri lordi di scritte hih hop. Perdo i sensi, tracollo. Odio la sensazione di divertimento obbligatorio che si porta dietro, è un capodanno lungo mesi. I pazzi sono nelle strade, tutta questa gente con i sandali, le Crocs, quelle scarpe orrende di carattere medico (Dr. Scholl), le canottiere, persino i piedi scalzi. Li temo. Il mare è quasi insopportabile, con la sensazione mefitica di salsedine sulla schiena, come fossimo bestie, e in montagna c’è troppa gente, arriva con le macchine, griglia ovunque, le radio con l’hip hop italiano. Mi sento svenire, conto i giorni che mi separano da ottobre, il meraviglioso autunno. Questa stagione mirabile che ristabilisce finalmente ciò che manca del tutto all’estate: il decoro. Non ce la posso fare, no.

 Mi difendo in questo modo

Metto il condizionatore su 19 gradi e con il pulsante energetic (c’è un tizio muscoloso sul tasto).

Mi sdraio e resto immobile.

Mi alleno alla morte.

La versione di me che più ricordo con piacere è quella dell’estate del 2001. Tutti erano in spiaggia e dopo un po’ si accorsero della mia assenza. Quando mi trovarono ero in un parcheggio con il motore accesso, la faccia sul condizionatore al massimo e Sparklehorse che suonava.

Immobile, come se mi avessero sparato alla nuca.

 

-un disco e/o un libro per salvarsi dall’estate

non c’è scampo alcuno, se non siete strutturati.

Comunque ambient minimale: Loscil, Basinski, poco altro.

D’estate non leggo quasi mai.

 -premio aria condizionata a:

“Sì, non c’è niente di male nella scienza. Sai, io tra l’aria condizionata e il papa, scelgo l’aria condizionata” (Woody Allen)

nando

parcheggi vuoti

 

 

 

 

 

 

fa banalmente caldo, le giornate sono troppo lunghe, notte alle cinque di sera è bello, la gente si sente autorizzata a spogliarsi ignorando i propri limiti, la corsa alle ferie quasi obbligate perché è estate.

Mi difendo lavorando e godendomi la mancanza di code in tangenziale, parcheggi vuoti tutto con molta calma.

Mi premio con granite assortite e muri di casa spessi un metro ascoltando musica classica moderna nordica, minimalisti assortiti e sognanti, leggendo i primi due tomi de La mia battaglia di Karl Ove Knausgard La morte del padre e Un uomo innamorato.

buona estate a tutti comunque voi siate.

 Andrea Pellizzer

spritz

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è che odio l’estate,  preferisco evitarla specialmente dalle nostre latitudini, nel nord est produttivo.

Gli ultimi anni siamo scappati tra il 53 e il 64 parallelo nord, per prendere un po’ di refrigerio e allontanarci dalle masse che affliggono il mediterraneo. Quest’anno invece sarà un’estate italiana, non avendo molti giorni di ferie, ma sempre evitando spiagge e creme solari al cocco.

 

Come armi di difesa uso la birra, spritz e cocktail vari ghiacciati,  mi chiudo in casa con le finestre oscurate e il condizionatore accesso.

 

 Disco:  la freschezza di Staying Home degli A Minor Place mi dà sollievo

 

 Libro: la pesante afa descritta in L’eco di sparo di Massimo Zamboni, mi fa sembrare la nostra calura meno opprimente

 



50 x 90 /Arnaldo Forlani Blues Explosion

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50 x 90

 

Dopo quelle sugli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, esce in allegato al numero di luglio la quarta guida pratica di Rumore: gli anni Novanta raccontati attraverso 50 dischi cult selezionati da Carlo Bordone.

Come da tradizione imprescindibile e imperdibile Martedì presenteremo la guida a Casseta, nella sua versione Estiva (Parco Culturale Le Serre, Grugliasco (http://www.cassetapopular.it/).

Saranno presenti Carlo Bordone,Rossano Lo Mele, amici e giornalisti della rivista, Maurizio Blatto e George Self Pylon. Si comincia alle 19.30 con l’aperitivo.

A seguire, l’Arnaldo Forlani Blues Explosion Quiz Anni Novanta.

 Processo Cusani

Dopo l’incredibile successo del Trofeo De Michelis – Quiz Anni Ottanta, torniamo a sondare quanto ne sapete davvero sugli anni della vostra giovinezza (cinema, musica, tv, minchiate assortite & everything).

Conduce Maurizio Blatto, giudice supremo Giorgio Pilon, notabile amministrativo Il Direttore.

Sarà una serata incredibile.


SUFJAN STEVENS – Houston 11 maggio, 2015, Jones Hall

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SUFJAN STEVENS – Houston 11 maggio, 2015, Jones Hall.

de Il Direttore

Dicono che la Main Street di Fredericksburg, caratteristica cittadina del Texas, incastonata fra le pieghe dolci della Hill Country, sia cosi estesa che, una volta che ti trovi a metà strada, fra i suoi due lati, ti sei già dimenticato perché avevi pensato di attraversarla. Tipiche esagerazioni texane dove il bello, si misura in modo entusiasta in unità di grandezza che lascino necessariamente a bocca aperta. Mi piace pensare che, quando Sufjan Stevens abbia pensato a una manciata di canzoni sul Texas, come parte del suo impervio progetto di musicare ogni Stato d’America, abbia avuto uno scatto di panico e gettato definitivamente la spugna, proprio pensando alla Main Street di Fredericksburg. Se non sbaglio, dichiarò proprio che, fra tutti gli Stati che avrebbe dovuto provare a descrivere in musica, il Texas era quello che lo metteva più a disagio. D’altra parte Sufjan è uno che sta bene solo quando sa di avere tutto sotto controllo. Come i compagni secchioni che però sono anche i nostri migliori amici. Non quelli con un centimetro di lenti da vista e un’incapacità congenita di rapportarsi con un mondo che sia altro da quello che studiano per ore, chini sui libri. Non quelli. Piuttosto i nerd che riescono, per dono dannatamente quasi divino, a essere sempre primi o quasi in classe ma hanno anche il pregio di esprimere la propria visione del mondo e condividerla con noi che gli stiamo intorno. Finiamo per perdonare il loro arrivare sempre e comunque primi. Siamo cresciuti insieme e ci siamo affezionati. Sappiamo che le loro vittorie rappresentano il loro limite congenito nel condividere completamente le nostre pene eroiche. Noi saremo ricordati per quell’unico trionfo, in un mare di sconfitte, loro non avranno mai il bacio della redenzione. Il loro controllo sulle proprie cose gli fa sempre tirare indietro il piedino all’ultimo momento. La loro congenita impreparazione a rischiare fino in fondo del proprio, li limita nell’abbracciare la fisicità imprevedibile del mondo. Sufjan è quel tipo di nerd, che preferisce pianificare a tavolino, imbrigliarsi nella progettualità e aspirare a quei traguardi alti che sono suoi di diritto. I suoi superlativi sono più concettuali che eroici. I suoi piaceri, più letterari che fisici. Eppure quest’uomo ha provato a riscrivere la Storia dell’America in musica, prendendo spunto dai suoi archetipi moderni più tipici e riconoscibili. Ha abbozzato il progetto, ma poi ha lasciato perdere quando ha capito che non ce l’avrebbe fatta mai. Ha alzato bandiera bianca, dopo un bilancio di pro e contro, piuttosto che immolarsi in un’impresa consumante, nell’era delle sintesi. Meglio essere saggi che pazzi. Eppure ci ha provato ancora, fra sinfonie di autostrade e odi a improbabili robot, con la mente pulsante di idee, per lo più rivelatesi incomprensibili. Non credo che Sufjan abbia sofferto per questo, circondato comunque dalla pletora di ammiratori eco-sostenibili da nuovo millennio, hipster con barba folta e curata e webzine comunque riconoscenti. Sufjan non ha sofferto e ha coccolato il proprio genio. Ha imbottito di fumetti, gadget e riferimenti new pop le sue ricerche, per mirare ai pieni voti, e si è sicuramente detto che era il mondo a non aver capito la portata delle sue ambizioni. Insomma, era tutto pronto per prepararci, noi anelanti il genio imperfetto e sanguinante di gloriose sconfitte, a distruggere di nuovo Babilonia e gridare contro il bello che avanza, inesorabile. Poi Sufjan ha scartato. Come quegli adorabili Nerd, che in fondo a una sfilza di otto nei compiti in classe, mentre noi arrancavamo aggrappati a sufficienze risicate, ci tendevano la mano, per mostrarci le loro ferite, Sufjan ha scartato. Carrie & Lowell guarda a quegli stessi fast food e supermarket, a quelle stesse cucine con il barattolo di burro di arachidi abbandonato sul tavolo, a quegli stessi pomeriggi sereni alla partita di baseball, a cui Sufjan aveva provato per anni a dare sostanza metafisica. Carrie & Lowell accarezza quei luoghi finalmente con dolcezza, evocandone i fantasmi che li hanno abitati. Come Mark Kozelek ha fatto con Benji lo scorso anno, il nuovo disco del cherubino racchiude l’America in un pugno di memorie che sta fra lo sguardo triste del cecchino di American Sniper  e i dodici anni del protagonista di Boyhood di Richard Linklater. L’America salvata dal senso di perdita di un ragazzo che non saprà mai urlare il suo dolore al mondo e quindi lo contestualizza. La madre come nuova figura di culto del. rock’n’roll. Sostituita la ribellione che non trova più eserciti di cuori pronti a farsi travolgere, con la carezza dell’unica persona di cui mai si potrà mettere in dubbio l’affetto. Sufjan, l’ex- cherubino, si presenta al pubblico da solo con le sue canzoni sussurrate alla madre, sormontato da una serie di losanghe imponenti, dove verranno via via proiettate le sue immagini d’infanzia e fermo immagine della costa dell’Oregon, dove ha attraversato la sua infanzia. Sembra di stare in una di quelle chiese finto gotico di tante città d’America. Una di quelle in cui un adolescente Sufjan provava a muovere i primi passi fra le note, cantando la sua fede incerta al signore. E’ accompagnato da quattro elementi, e si capisce da subito che il ragazzo, come sempre, è preparato. Lo spettacolo (perché di questo si tratta) viene governato dall’ex-cherubino, fra giochi di luce, fotogrammi di bambini e madri e chiaro scuri acustici ed elettronici. Perché, nonostante la veste intima delle canzoni del disco nuovo, mai Sufjan rinuncerebbe a provare a guardare oltre. Anche maldestramente, come nella resa astrusa di All Of Me Wants All Of You, che regala l’intensità del disco a un vestito sintetico che non sembra andare da nessuna parte. Ma è un attimo. Basta che arrivi 4th Of July ed è come rivedere il ragazzino di Guardians Of The Galaxy che lascia la mano della madre morente all’ospedale, per racchiuderne il ricordo nell’intimità di un’audio cassetta di canzoni anni settanta. Se il mondo è un mostro, il nostro amuleto ci renderà invincibili. C’è chi si fa venire gli occhi lucidi, ma sempre con compostezza. Sufjan intanto armeggia fra banjo, chitarra, piano e ogni tanto passa la mano fra le tubular bells sotto la tastiera. Meno piume e cori che con Illinois, ma comunque la stessa voglia di essere primo della classe. Eppure, saranno i fantasmi di Carrie & Lowell, sarà quella perfetta combinazione di pieni e vuoti, silenzi e sussurri e quell’appena accennata maggior coralitàlive che impreziosisce la nudità del disco ma, pur in modo totalmente non fisco, la partecipazione all’evento è intensa. La conduzione irreprensibile dell’ex-cherubino raggiunge il culmine con Blue Bucket Of Gold in cui il finale strumentale, viene dilatato all’infinito in uno tsunami calmo da undici minuti, che si appoggia su luci bianche che anelano a una divinità sintetica e galleggia su qualcosa di impalpabile fra Brian Eno e gli Spiritualized. Quasi un esercizio di bio – psichedelia nella terra dove la psichedelia è di casa. Sufjan ha fatto bene i compiti. Raggiunto lo scopo, si mette il cappello da baseball, prova a raccontare una storia di liceo e ci spiega come le canzoni tristi siano un esorcismo che porta gioia. Ultima lezione prima di sciogliersi e imbracciare il banjo. Sfilano ancora i Sette Cigni, la sorella e viene spedita una cartolina dall’Illinois. Entra anche qualche ottone, ed è tutto preambolo e attesa per quel “Libro dell’Inquietudine” che è Chicago, qui resa con uno spruzzo di elettronica che avvolge il sussurro di Sufjan, su uno dei massimi momenti della musica Pop degli anni zero. Guardare l’America senza avere l’ansia di parteciparvi. Stare alla finestra per salvarla. Ho fatto un sacco di sbagli, Pessoa avrebbe applaudito, anche lui. Sulla via di casa, sono in auto, con amici che, come da copione, tessono le lodi di quel genietto con il cappello da baseball, il banjo e le losanghe sopra di lui. Mio figlio da casa mi scrive un messaggio sul cellulare. “Ma dove siete che non riesco a dormire, perché sto accanto a mia sorella, che se si spaventa almeno sono qui io. Ma dove siete”. Mio figlio, cuore indomito, con un piede sulla Main Street di Fredericksburg, grande e incognita, pronta a mangiarselo. Come Sufjan, davanti al racconto di un’America infinita che non perdona, aggrappato alla gonna della Madre, con tanta paura di fare errori.

Il Direttore

 

https://www.backdoor.torino.it/?p=1029

 

 


Long May You Run, Ilunga

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È morto a Kinshasa, all’età di 66 anni, l’ex calciatore Ilunga Mwepu.

Lo celebriamo pubblicando un mio articolo scritto (credo) quindici anni fa per la gloriosa fanzine Football Mad.

Long May You Run, Ilunga.

la figurina di mwepu

 

Nostalgia leoparda: Ilunga e lo Zaire del 1974

di Maurizio Blatto

 “Comunque, vedrai, appena il calcio africano acquisirà un po’di professionalità, quelli non ci fanno veder più palla”. “E poi, che atleti! Fisicamente sono superiori a tutti, un po’di esperienza e tecnica in più e ti saluto, caro il mio calcio europeo”. Anni e anni di profezie simili e poi finalmente sono arrivati Weah, Kanu, Finidi e soci a corroborare tesi che iniziavano a sembrare troppo esili. Prima, soltanto qualche caso sporadico. Il Camerun dello statuario Milla e lo Zambia che ficca quattro castagne all’Italia delle Olimpiadi del 1988. Ma prima, prima ancora, chi ha fatto la storia del calcio africano? La risposta non può che essere una e una sola: suo malgrado, lo Zaire del 1974. I Leopards dello Zaire sono entrati nella leggenda del calcio grazie ad un paio di batoste feroci, ma soprattutto in virtù di gesto geniale, sorprendente e “definitivo”. Calma, andiamo per gradi. Mondiali del 1974, Germania. Il grande show di Cruyff, Beckenbauer, Rivelino e del capocannoniere polacco Lato. Il Mondiale di Chinaglia che, leggiadro, indica a Valcareggi le modalità per andarselo a prendere nel culo, simbolo deragliante di un Italia eliminata subito e capace di vincere unicamente con la nazionale di Haiti, dopo essere andata sotto per un gol di Emanuel Sanon, cannoniere e simbolo insieme al portiere acrobata Henry Francillon della nazionale dalla casacca rossa. Il Mondiale di Jurgen Sparwasser che, il 22 di Giugno, segna e assegna il “derby del Muro” (così venne  definito all’epoca, un’epoca dove nessuna Trabant aveva ancora capottato nell’Occidente) alla Germania dell’Est e se la ghigna alla faccia dei futuri campioni, prima di tornare a casa per colpa di Neeskens, Rensenbrink e Rivelino nel primo girone di semifinale. E’proprio nel 2° gruppo di quel Mondiale, che vengono inseriti i Leopards, casacche verde prato, tre righe gialle Adidas, stemmone con il leopardo sul torace ed orgoglio dello Zaire tutto. Campi da gioco: Francoforte e Gelsenkirchen. Rivali: Jugoslavia (ah, i perfidi slavi, sempre temibili…), Scozia (l’unica squadra a non aver mai perso una partita durante le qualificazioni a Germania‘74!) e i campioni in carica del Brasile (u Brasil, Rivelino, futebol bailado, samba, Dirceu…). Girone bello difficilotto per i leopardi, ma chissà, potrebbero anche essere una rivelazione, non si può dire. Ricordiamo che quelli erano anni in cui il calcio non dominava la televisione e ben poco si vedeva oltre gli spalti italici. Tutto può essere. Ovviamente non fu. Lo Zaire risultò tanto “naif”, sprovveduto e debole da suscitare una simpatia immediata e sempiterna. Una vera armata Brancaleone al cospetto del calcio europeo e sudamericano, un’accolita di improvvisatori che, peraltro, rappresentava realmente il meglio del calcio africano all’epoca. Sempre nel 1974, in Egitto, fu infatti proprio lo Zaire ad aggiudicarsi la Coppa d’Africa (girone eliminatorio alle spalle del Congo e sopra Guinea e Mauritius, semifinale vinta per 3 a 2 sui padroni di casa dell’Egitto e finale vinta nella partita di ripetizione per 2 a 0 sullo Zambia, dopo l’1-1 e il 2-2 ai tempi supplementari della gara giocata il giorno prima). Inoltre l’anno precedente, la formazione zairese dell’A.S. Vita si era aggiudicata la Coppa dei Campioni d’Africa, subentrando ai successi del 1967 e 1968 del TP Englebert. Il presidente (imperator-simil dittatore) Mobutu Sese Soko aveva ripulito la capitale Kinshasa dalla criminalità con una maxi retata conclusasi con un’esecuzione di massa nei sotterranei dello stadio e, in ottobre, avrebbe cercato lustro ospitando il leggendario incontro di boxe tra Mohammed Alì e George Foreman, con imperdibile corredo di James Browm, Miriam Makeba e Spinners. I presupposti c’erano. Lo Zaire, nelle qualificazioni africane ai mondiali, fece fuori, nell’ordine: Togo, Camerun, Ghana, Zambia ed infine Marocco. Sì, i presupposti c’erano. Poi si giocò e ci si accorse che quello che mancava era la squadra. Un disastro. Si partì il 14 giugno alle 19,30: Westfalenstadion di Dortmund, Scozia e Zaire di fronte a ventisettemila spettatori. I Leopards schierano Kazadi, Mwepu (ricordate questo nome), Mukombo, Buhanga, Lobilo, Kilasu, Mayanga, Mana, N’daye, Kidumu e Kakoko. Formazione di tutto rispetto, come avrete intuito dai nomi, ma non sufficiente ad arginare gli scozzesi, che non spingono al massimo ma insaccano due pere, al 26° con Lorimer e al 33° con Jordan, entrambi in forza al Leeds United. La tv italiana non manda nemmeno la partita in diretta, si accontenta di una misera sintesi alle due di pomeriggio del giorno dopo. Ehi, cazzo facciamo, snobbiamo i leopardi? Comunque, poco male, non è stata una vera Waterloo, vediamo cosa succede con la Jugoslavia. Eh, vediamo dai. 18 Giugno, Gelsenkirchen, Parkstadion, ore 19, trentunmila spettatori (per mamma Rai ancora sintesi il giorno dopo). Lo Zaire schiera la stessa formazione dell’esordio con la sola variante di Kembo al posto di Mayanga. D’altro canto, squadra che ne prende solo due, non si cambia. Il dramma è che i leopardi ne buscano nove. Nooove a zero!! Una mazzata bestiale. Ecco i marcatori: Bajevic (8°, 30°, 81°), Dzajic (14°), Surjak (18°), Katalinski (28°), Bogicevic (38°), Oblak (51°) e Petkovic (65°). La squadra è allo sbando e ad un certo punto pare persino che la Jugoslavia (anche gli slavi non son poi così perfidi…) decida di non infierire troppo. Un gesto (non ancora quello) sintetizza l’intero incontro: al ventunesimo, il portiere Kazadi, tra le lacrime, chiede di essere sostituito. Più tardi affermerà che mai, nella vita, si era sentito così umiliato. Aggiungiamoci l’espulsione di N’daye e avremo il quadro di una squadra fatta a pezzi, letteralmente schiantata. Sberla dura, anche perché ora tocca al Brasile, nientemeno che ai campioni del mondo. Facendo le dovute proporzioni si teme un risultato stile cappotto d’Astrakan, qualcosa tipo ventisette a zero o giù di lì. I Leopards, giustamente, si cagano un po’ nella tuta, ma fieri, si presentano comunque puntuali all’appuntamento con la storia. Che è fissato alle 16 del 22 Giugno, ancora al Parkstadion di Gelsenkirchen (per la cronaca, manco i detentori del titolo convincono la Rai a mandare l’incontro in diretta) di fronte a trentaseimila spettatori. Lo Zaire persuade Kazadi a tornare tra i pali e cambia qualche elemento: dentro i nuovi Kibonge, Tshinabu, N’Tumba e vediamo un po’ cosa succede. Succede che il Brasile ne infila tre (Jairzinho 13°, Rivelino 67°, Valdomiro 78°), il che, date le previsioni, è un mezzo trionfo. Troppa la disparità. Nonostante quello non fosse un Brasile irresistibile schierava comunque Leao, Nelinho, Luis Pereira, M.Marinho, F.Marinho, Piazza, Rivelino, Jairzinho, Leivinha, Cesar Carpegiani e Edu, collocandosi, rispetto agli africani, letteralmente su un altro pianeta. Non è comunque nelle tre legnate brasileire che si deve cercare il diamante dell’incontro. Il picco, il gesto geniale (ecco, ci siamo) si colloca tra i nove metri circa che separano Rivelino, posizionato davanti al pallone, e la barriera leoparda schierata qualche metro davanti alla linea dell’area di rigore. Come d’abitudine su ogni punizione, Rivelino prende una lunga rincorsa mentre l’arbitro rumeno Rainea, novello mossiere del Palio di Siena, suda sette casacche per tenere a bada gli scalpitanti leopardi. Stop. Fermo-immagine sul numero due dello Zaire, il volenteroso Ilunga Mwepu (sì, di nome faceva proprio Ilunga, come quando cercate di spiegare a vostra bisnonna con che lettera inizia Juventus) che tarantoleggia in barriera. All’improvviso Rainea fischia e lui, come i geni e gli eroi, i fulminati o i Masaniello che han fatto la storia, appalta la mente e la ragione e si affida al cuore e all’intuito. Vede Rivelino che esita e forse pensa “cazzo fai Rivelino, tentenni, cazzo fai, non tiri? Ah no, beh allora tiro io”. E va. Lui va e corre con falcate imperiose, a metà tra Olivia, la fidanzata di Braccio di Ferro ed Emil Zatopek. Va nel silenzio improvviso, sgambazza davanti a settantaduemila sguardi attoniti di spettatori che lo vedono e pensano “ma cos’hai nella testa Ilunga, l’acqua dei pesci?”. Lui è andato, troppo tardi, ormai è a un passo. Eccolo che arriva e pianta una stanga che nemmeno Ercole e Maciste e Antonio Hinoki e Piedone lo Sbirro messi insieme. Papapum e la palla viaggia verso la porta di Leao. Stop. Il tempo riprende il suo corso naturale, ed è il panico. Rainea, indignato, fischia, chiama Mwepu e lo ammonisce. Jairzinho con una testa afro che al confronto Bob Marley sembra uno appena arrivato al C.A.R. non riesce a trattenere lacrime di riso, va vicino al numero due leopardico e agitando una mano sotto gli occhi, come quando si allontanano le mosche probabilmente gli dice “Uei, Ilunga, ma tu sei completamente andato”. Mwepu intanto, stranito dal giallo di Rainea, letteralmente si inchina e ammicca tipo “va bè, allora ammoniscimi dai, hai ragione tu, dai”. Morale, quest’uomo selezionato tra sedici milioni di abitanti e duemila tesserati zairesi si è presentato ai Mondiali senza nemmeno conoscere le regole basi del calcio giocato. Tipo: se stai fermo novanta minuti sulla linea di porta del portiere avversario facilmente finirai in fuori gioco e se hai una punizione contro non valgono le regole di “fazzoletto” per cui appena fischiano chi arriva primo vince. Meglio così, la stecca diabolica di Ilunga ha consegnato lo Zaire al mito, elevandolo in qualche modo dal mesto ultimo posto al girone (per la cronaca, la Scozia verrà eliminata per differenza reti, pagando oltremodo una certa clemenza riservata ai Leopards) concluso a zero punti e con meno quattordici di differenza reti. Anni luce dopo il black-out dei neuroni di Mwepu verranno le vittorie olimpiche di Nigeria e Camerun, ma il nostro più nostalgico pensiero va all’estroso Ilunga, probabilmente rispedito in qualche cortile, a ripassare i fondamentali dell’arte pedatoria. Se giochi ancora, come meriti, tieni duro e sui corner attento a non fare il terzo tempo, che quello, è il basket.

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Record Store Day 2015

Postato il

space is the place

Backdoor is the shop

 

space is the place

Visto il grande successo di pubblico e critica dell’anno scorso,

anche quest’anno la conduzione del Record Store Day è affidata al Signor Franco

sono confermate le iniziative del 2014:

-i prezzi rimarranno invariati

-compri due paghi due

più la novità:

-possibilità di orario continuato (dipende da chi c’è in negozio)

Vi aspettiamo, come sempre, numerosi

RSD15

 

 

 

 

 

 

 


Votazioni Finali Clienti Backdoor 2014

Postato il

più tardi del tardi (influenza, schede consegnate in ritardo, pigrizia, slackerismo pavementiano), ecco finalmente le votazioni dei clienti Backdoor, giusto in anticipo di qualche mese per il primo bilancio di metà 2015.

VOTAZIONI FINALI CLIENTI

BACKDOOR 2014

 

Disco dell’anno:

 

sunkilmoonbenji_zps413e6259-800x700

1-Sun Kil Moon Benji

2- Scott Walker and Sunn O)))) Soused

3- Damon Albarn Everyday Robots

4- Real Estate Atlas

5- Ben Seretan Ben Seretan

6-Swans To Be Kind

7-Popstrangers Fortuna

8-Sleaford Mods Divide And Exit

9-Giardini di Mirò Rapsodia Satanica

10-Altro Sparso

11-C’Mon Tigre C’Mon Tigre

12-Neneh Cherry Blank Project

13-Bob Mould Beauty & Ruin

14-Ben Frost Aurora

15-Parquet Courts Sunbathing Animals

16-Stephen Malkmus and the Jicks Wig Out At Jagbags

17-J Mascis Tied To A Star

18-Lee Fields & The Expressions Emma Jean

19-News For Lulu Circles

20-Mark Barrott Sketches From An Island

 

Miglior concerto dell’anno

Ben-Frost-4

1-Ben Frost (Club To Club, Torino)

2-Loscil (Blah Blah, Torino)

3-Ninos Du Brasil (Barrio, Torino)

 

Miglior canzone dell’anno

sun kil moon

Sun Kill Moon I Watched The Film The Song Remains The Same

 

Miglior disco italiano dell’anno

ALTRO-SPARSOcover

 

1-             Altro Sparso

2-             Giardini di Mirò Rapsodia Satanica

3-             News For Lulu Circles

 

Miglior ristampa dell’anno

slint reissue

Slint Spiderland

 

Disko minkia:

immondizia

Plebiscito per Lo Stato Sociale L’Italia Peggiore, che però viene scartato da tutti in quanto “troppo facile”.

Così finiscono dentro How To Dress Well, Alt-J, Shellac, Merchandise, Xen e Aphex Twin

Citazione di (de)merito per l’accoppiata live al Traffic di Torino Max Pezzali/i Cani

 

Tu sei un dj:

Incredibilmente vieni assoldato da un’agenzia di dj specializzata in feste per vip morti ma resuscitati. Devi mettere i dischi al compleanno di uno dei nomi indicati qui sotto. Scegline almeno uno e indica quattro canzoni.

 ecco qualche selezione:

-Cleopatra

cleopatra

 

 

 

 

 

 

ABC Poison Arrow

The Velvet Underground All Tomorrow’s Parties

The Smiths Some Girls Are Bigger Than Others

Jonathan Richman & the Modern Lovers Egyptian Reggae

The Bangles Walk Like An Egyptian

Death In June Symbols of the Sun

Pixies Tony’s Theme

Weezer Cleopatra

 

-George Best

George-Best-10

 

 

 

 

 

Brian Eno Baby’s On Fire

The Beatles Happiness Is A Warm Gun

The Smiths Sweet and Tender Hooligan

Oasis Live Forever

Morrissey The Last of the Famous International Playboys

Laurel Aitken Hey Bartender

Gun Club Walkin’ With The Beast

Oasis Cigarettes and Alcohol

Tina Turner (Simply) The Best

Morrissey Do Your Best and Don’t Worry

The Pogues Fairytale of New York

-Bombolo

bombolo

 

 

 

 

 

The Smiths That Joke Isn’t Funny Anymore

Bee Gees I Started A Joke (nella versione dei Low)

Boyd Rice Disneyland Can’t Wait

Johnny Dorelli Arriva la bomba

 

 

 

 

-Camillo Benso Conte di Cavour

Camillo_Benso_conte_di_Cavour

 

 

 

 

 

Paolo Conte Max

Lambchop Low Ambition

Gipo Farassino Muntagne del me Piemont

Laibach Opus Dei

Orchestra Bagutti con Matteo Tarantino Bianco Rosso e Verdone 

Loris Gallo Gent parej

Le nostre Valli Vecchio paese

Brian Eno Three Variations on the Canon in D Major: Fullness of Wind